martedì 29 ottobre 2013

Ragazzate

Quando andavo alle elementari sono stata vittima di bullismo, solo che allora non si chiamava così, si diceva che erano ragazzate.
Ma io ho ancora delle immagini vivide di terrificanti ricreazioni, io con la testa tra le braccia rincantucciata in un banco e le altre che mi giravano intorno prendendomi in giro.
Loro si sentivano in diritto di farlo, io ero "diversa".
Loro erano belle, magre, popolari e agili,
io ero bruttina, goffa e con gli occhiali, non sapevo fare la ruota, avevo pure i genitori separati.
Allora mi giravano intorno e mi prendevano in giro, io le imploravo di smetterla ma loro me lo dicevano chiaro e tondo, finché non piangi non la smettiamo.
L'insegnante non stava in classe durante l'intervallo, prendeva il caffè con le colleghe in una saletta in cui a noi scolari era interdetto l'ingresso, quando rientrava io piangevo e le altre si erano di nuovo trasformate nelle alunne modello, belle, educate e con il loro fiocchetto rosa bello dritto sul grembiule bianco.
Inutile lamentarmi a casa, la risposta era sempre la stessa, sono ragazzate, lascia perdere.
Da queste ragazzate mi sono difesa diventando bulla dentro anche io, il mio animo da "merdaccia" deriva proprio da la. Solo che non essendoci nata non sono capace di esserlo fino in fondo e il più delle volte mi faccio male da sola, prima o poi imparerò a gestirlo, a questo punto più poi che prima.
Poi leggo sui giornali dell'ennesimo ragazzino che si suicida perché vittima di bulli, lo prendevano in giro perché "diverso", perché gay. Anche a lui qualcuno avrà detto che erano solo ragazzate?
E poi leggo ancora l'ultima notizia, un ragazzino disabile picchiato, dileggiato, filmato mentre si contorce a terra ferito più nell'anima che nel corpo, un'insegnante accorta che interviene anche se il tutto succede in cortile, durante l'intervallo. Una denuncia, concordata con il preside, ai Carabinieri, il caso finisce al Tribunale dei minori, gli aggressori, tutti tredicenni, costretti a seguire un percorso rieducativo.
Il padre di uno di questi si indigna, si arrabbia, contesta: è stata una ragazzata.
No, non sono ragazzini. Sono merdacce in itinere. E lui che li difende è la merdaccia più fetente.

lunedì 21 ottobre 2013

Maschio nell'anima

E' lunedì mattina e sono a casa, in modalità "Mammina premurosa".
Emmegrande è ko, probabilmente a causa della sua bella abitudine di uscire dagli allenamenti di basket sudato come un cammello con la giacca slacciata, altrimenti non si vede l'elastico delle braghe che spunta dai calzoni.
Ieri sera aveva mal di testa e febbre a 37.9°. Un piccolo rottame d'uomo rantolante tra letto e divano, avvolto in strati di pile e, sintomo quanto mai preoccupante, immune agli stimoli dell'appetito.
Dopo oppurtuna terapia a base di paracetamolo la temperatura è calata e, ad adesso, è stabile sui 36.5°, il poveretto è acciambellato sul letto con la solita coperta di pile e la gatta che fa da premurosa infermiera.
Soffre tanto, ma si fa coraggio. Adesso ha tratto immediato giovamento dalla visione di un cupcake al cioccolato su Real Time.
Altri sussulti vitali glieli da la visione dei terribili programmi di Dmax, ma la situazione non è ancora serena, non ha ancora ritrovato interesse per i videogames.
Ma sono ottimista.
Lui no.
Uomini. Già da bonsai sono tutti uguali.

martedì 15 ottobre 2013

Ufficio complicazioni affari semplici

"Gentile genitore,
da quest'anno scolastico cambia la modalità per pagare le tariffe dei nidi d'infanzia e della ristorazine scolastica nella scuola dell'infanzia e dell'obbligo. Non ci saranno più i bollettini di pagamento cartacei, ma un sistema di pagamento chiamato 'Borsellino elettronico'"
Ecco, io non so voi, ma quando io ricevo lettere che annunciano fighissime innovazioni comincio a sudare freddo.
E ne ho ben donde.
Premetto, io non ho mai usato i bollettini per pagare la mensa - cara ai limiti dell'esoso - dei figlioli, avevamo l'addebito automatico in conto corrente. Ogni mese ci venivano prelevati i soldi necessari e noi non dovevamo pensare a scadenze o file in posta.
Direte che adesso è ancora più facile.
Col cazzo.
Bisogna registrarsi su un sito, attivare 'sto cacchio di borsellino e versarci, con carta di credito o bonifico bancario un credito a piacere.
Chi non ha il pc in casa può recarsi presso i punti informatici delle circoscrizioni, aspettare con calma il proprio turno e adempiere ai propri doveri telematici.
Che teoricamente uno versa l'importo per tutto l'anno ed è a posto.
Aricolcazzo.
Io e mio marito, secondo il comune di Torino, siamo straricchi. Abbiamo due redditi di lavoro dipendente e una casa di proprietà, ancorché gravata di sostanzioso mutuo per altri nove anni, quindi non vale nemmeno la pena di fare il modello ISEE, siamo nella fascia di reddito più alta, il che si traduce in € 150 mensili per la mensa di Emmepiccola. 150 x 9 = 1350. Una miseria, per Luca Cordero di Montezemolo. Un salasso, per noi comuni mortali.
Quindi ogni mese dovremmo ricordarci di accedere al sito, al borsellino e ricaricare dell'importo necessario, alla modica cifra di € 4.50 per operazione.
LADRI MARIUOLI!
E se uno non lo fa? Minacciosa la società di servizi che si occupa del tutto avverte che invierà a casa il bollettino gravato di € 2.23 a titolo di spese di spedizione a carico del destinatario.
Possino crepare, io il borsellino elettronico non lo attivo.
E se ne vadano a stendere.

p.s.: per somma presa di giro la società avverte che da quest'anno alcune scuole sperimenteranno il "pagamento a consumo". Nel senso che poiché fino ad adesso anche se il ragazzino si ammala e sta a casa una settimana la mensa la si paga comunque per tutto il mese, sperimenteranno se conviene farla pagare solo per i giorni di effettiva presenza. Figo. Peccato che la sperimentazione parta dalle scuole medie, delle quali forse tre o quattro su tutto il territorio fanno il tempo prolungato, il resto tutti a casa per pranzo.
Li possino.

domenica 13 ottobre 2013

Pistina

Per i non piemontesi e i non importati sappiate che il pistino è sinonimo di pedante, pignolo.
Ecco, io per certe cose lo sono non poco.
Per esempio sull'abbigliamento.
Premetto che io non seguo tanto la moda, un po' per il budget sempre limitato, un po' perché sono femmina atipica poco propensa allo shopping. Odio andare per vetrine, odio le riviste di moda e odio i fashion blog. Se qualcosa mi piace e mi sta bene la prendo, indipendentemente dai dettami dei guru del fashion.
Ma su certe cose non transigo.
Per esempio non sopporto per niente coloro che in vacanza si prensentano a cena al ristorante dell'hotel/resort/villaggio in calzoncini da bagno e infradito. Insomma, non si pretendono il completo o l'abito da gala ma una tenuta decorosa sarebbe indicata.
Non tollero nemmeno le fanciulle che arrivano in spiaggia con il tacco dodici e il lamè, magari truccate come per un red carpet. Mi danno l'impressione di non essersi riprese dalla sbornia della sera prima.
Fossi una dirigente emetterei un ordine di servizio che vieta il bermuda in ufficio, sia per le donne che per gli uomini. E in ufficio non concepisco nemmeno le pettinature cotonale, le scollature abissali o gli short.
Ma il mio peggio lo do in occasione delle cerimonie. Comincio ad arricciare il naso sul sagrato della chiesa e tormento mio marito per tutto il viaggio di rientro a casa con critiche al vetriolo sugli altri invitati.
Che volete, sono una donnina all'antica e per me certe regole si rispettano, è anche una questione di buona educazione.
Ieri, al matrimonio della mia meravigliosa cuginetta acquisita - splendida, una visione in un abito champagne semplice e raffinato - ho avuto modo di stilare la mia personalissima lista di mai più con, che non servirà a nessuno di voi ma rimarrà qui a perenne memento delle mie idiosincrasie.
Potete opinare o aggiungere, a piacer vostro.
Uomini
- Mai più con completi in tweed, velluto a coste o fustagno. Siete a una cerimonia, non ad un pranzo in campagna;
- Con il maglioncino senza giacca se avete più di quindici anni;
- Con i jeans modello talebano e l'elastico della mutanda che ne sporge, anche se siete baldi ragazzotti universitari;
- Con i cargo con le tasche sui fianchi, mica state andando ad esplorare la savana;
- Con le camicie di flanella a quadri sotto il completo blu, anche se fa freschetto siete uomini e dovete resistere;
- Con il completo bianco e la camicia fucsia, fa tanto sosia di Elvis nei momenti peggiori;
- Con la camicia a mezze maniche sotto il completo scuro.
Donne
- Mai più con vestiti bianchi, panna, avorio o champagne. Cacchio, sono colori riservati alla sposa ed è inutile che sosteniate che comunque voi indossate un tailleur o un tubino, non si fa e basta. Al mio matrimonio un'invitata è arrivata con un abito bianco lungo fino alle caviglie, l'avrei uccisa;
- Con tailleur in tweed, velluto a coste, fustagno. Vale quanto scritto per la categoria uomini con l'aggravante che ricordate tanto la Regina Elisabetta in tenuta da residenza in Cornovaglia;
- Con minigonne inguinali anche se avete le gambe di un metro e dieci, non ci fate una bella figura nemmeno in caso di matrimonio civile;
- Con gli stivali. Rendono immediatamente inelegante qualsiasi vestito anche se hanno il tacco altissimo. Anzi, in questo caso danno subito quell'aria da domatrice di leoni che proprio non si confà a una cerimonia;
- Con i collant di pizzo di cotone se si hanno più di otto anni;
- Con i jeans e le ballerine se si è superato il sesto anno di vita;
- Con la giacca corta di piumino sul vestito bello;
- Con i vestiti di carta stagnola a un matrimonio mattutino. Teoricamente il lucido, il lamè, il lurex dovrebbero essere riservati alle cerimonio serali;
- Con i sabots bassi. Serve che aggiunga altro?
E questo, logicamente, è un piccolo prontuario per matrimoni normali, tra persone normali e con parenti normali, non per quegli avvenimenti di portata epocale orchestrati da isterici wedding planner modello Miccio. Secondo me è il minimo sindacale per non entrare nella leggenda come i più ridicoli del reame.
Tipo la splendida fanciulla che ieri aveva un vestito dall'orlo a punte in jersey bianco a fiori, un giustacuore fucsia, calze di pizzo di cotone viola e sandali bianchi con il mezzo tacco.
Signore, pietà!

giovedì 3 ottobre 2013

That's my home

Io mi auguro che i miei figli abbiano una casa.
In senso lato, non solo un tetto sulla testa.
Ma vivano sotto un cielo amico, abbiano un lavoro che gli permetta di vivere con dignità, le cure mediche se ne avessero bisogno.
Mi auguro che possano uscire per strada senza paura, che guardino in alto per vedere se volano le rondini, non se sui tetti dei palazzi ci sono i cecchini.
Che possano leggere quello che vogliono, parlare di quello che credono, amare chi fa loro battere il cuore senza temere per la loro vita se è della razza, del popolo, dell'etnia sbagliata.
Che possano avere figli senza timori per il loro futuro se non quelli ragionevoli per ogni genitore.
E se oggi mi accorgessi che il cielo sotto cui vivamo diventasse nemico, se temessi per loro la fame, la miseria, la perdita della dignità fuggirei ovunque.
A piedi, in bicicletta, con l'autostop, tenendoli per mano o sulle spalle se fossero stanchi ma fuggirei in cerca di una casa per loro.
In barca, come tanti, come fanno tanti.
Come le vittime di Lampedusa, le ennesime, un addendo spropositato a una somma che aveva già troppe cifre.
E' il momento di piangerle.
E' il momento di maledire che li uccide materialmente abbandonandoli al loro destino a un passo dal cielo che dovrebbe essere loro amico, di maledire chi banchetta sui loro resti strumentalizzandoli politicamente.
Chi, sotto sotto, pensa che dopotutto gli sta bene, dovevano solo stare a casa loro.
Come se il mondo non fosse la casa di tutti.