lunedì 30 dicembre 2013

Rosso

Domani sera sarò vestita di rosso.
Dopo anni di cenoni casalinghi ci concediamo una cena al ristorante, pochi amici nel locale di un amico.
Ringrazio il 2013 che se ne va per tante cose, anche se non è stato un anno propriamente facile. E' cominciato in salita, ma una di quelle erte che ti spaccano le gambe appena provi ad affrontarle e ti viene la voglia di dire che non ce la farai mai, mi siedo e aspetto un passaggio, oppure aspetto e basta.
Poi, un passo dopo l'altro, sudando, imprecando, l'affronti e dopo un po' ti rendi conto che ti sei fatta le gambe e il fiato.
Prima di sposarmi andavo spesso a fare trekking, ho imparato che bisogna adeguare il passo ai propri limiti e così ho fatto.
La salita non si è miracolosamente appianata ma adesso faccio meno fatica.
Non mi aspetto un 2014 perfetto.
Ma sono qui e lo aspetto, e questa è una buona notizia.
Che sia per voi un anno di buone notizie.

venerdì 20 dicembre 2013

Turbinio festivo

Il mese di dicembre si va dissolvendo in un turbinio di luci e fiocchi rossi, recite natalizie e traffico congestionato di macchine in cerca di parcheggio davanti ai negozi.
La colonna sonora si snoda in un ripetersi incessante delle stesse tre canzoni che già non sopporto più dall'otto dicembre,
Last Christmas;
Jingle bell rock;
All I want for Christmas.
Il punto vita si allarga pericolosamente, imbottito di cioccolatini, una fettina di panettone per festeggiare in ufficio, in classe, in palestra, un biocchierino per un brindisi tra colleghi.
I forconi hanno riaperto il banco al mercato, mica ti vuoi perdere le vendite natalizie. Ieri era prevista una manifestazione, vi hanno partecipato in 15. Per le rivendicazioni passare dopo l'Epifania.
Le vacanze scolastiche sono cominciate da cinque ore e mezza, da tre ore non vedo l'ora che finiscano.
Emmegrande ha un piede fuori uso, uno scontro in palestra con un compagno di classe gli ha garantito una bella slogatura e otto giorni di docca gessata, si spacchetterà il piede il giorno di Natale, insieme ai regali che ha chiesto.
Quest'anno niente giocattoli ma scarpe fighe, divisa e pallone da basket. E il piccolo gli è andato, ovviamente dietro, divisa da basket anche per lui ma nella letterina a Babbo Natale ha infilato, quasi vergognandosene, la richiesta di una macchinina.
Domani è ufficialmente inverno, ieri si è affacciata un po' di neve da noi. Sembra lo abbia fatto solo per provare il funzionamento dei motori, ha spruzzato di zucchero a velo i prati come se fossero pandori pronti da addentare.
Domani partiamo per il NBS, a fare il Natale in famiglia: previsti cinque giorni di incontri, auguri, brindisi e quant'altro che culmineranno nel celebre pranzo del 25 da mia madre. Il menù è stato deciso più o meno a Ognissanti, quest'anno prevede penne al ragù di pecora, specialità del paese di origine dei miei nonni. Non storcete il naso, le penne alla pecora della Zia Quicquia avrebbero resuscitato Lazzaro anche senza l'intermediazione di Gesù Cristo.
Io non sono molto natalizia, non ho mai fatta mia la storia che a Natale si è tutti più buoni, e la pace e l'amore e la gioia e le campane che suonano. Cioè, la pace e l'amore servono tutto l'anno, mica solo il 25 dicembre, non riesco ad essere più buona a Natale, non è che dopo 364 giorni di acidità io divento improvvisamente basica. E odio i Babbi Natale appesi ai balconi e gli alberi di design e last-christmas-I-gave-you-my-heart e gli sms di auguri tutti uguali inviati in serie, le renne ballerine e gli elfi tenerini.
Quindi non sono capace di fare auguri di circostanza.
A chi passa e legge auguro solo di fare le cose che ama con le persone che ama.
A chi non potrà farlo vada il mio augurio che le cose migliorino.

lunedì 16 dicembre 2013

Un anno dopo

Se riavvolgo il nastro mi rendo conto di quanto stessi male.
E mi rendo anche conto di quanto rifiutarsi di ammetterlo. Non era un problema mio ma di tutto il resto del mondo.
Erano "gli altri" ad avercela con me, e ne trovavo dimostrazioni continue in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni parola detta o non detta.
Se non erano le persone erano le circostanze, il destino, la sfiga, la congiuntura astrale, i maya, il clima...
Era brutto.
Non si vive bene quando senti che l'unico posto sicuro sono le pareti di casa tua, quando alzarti dal letto al mattino ti costa una fatica che nemmeno la traversata in solitario dell'Atlantico, quando tutti sono potenziali nemici.
E se qualcuno ti dice che non è vero è solo l'ennesima dimostrazione di quanto tu sia incompresa e sottovalutata.
Passi il tempo a difenderti da attacchi immaginari e così esponi il fianco a quelli reali, fino a quando arriva qualcuno che ti stende definitivamente.
Che alla fine va bene così, perché fino a quando continui ad autoconvincerti che va tutto bene e puntelli con travi e travicelli tutto il tuo essere per non crollare non fai altro che rimandare la soluzione.
Invece dal disastro ricominci, e cerchi di ricostruire fondamenta solide per non crollare di nuovo.
Ed è mica facile: non ne sono mica uscita del tutto, ma almeno ho dato un nome al mio disagio, se le cose si materializzano le puoi combattere.
E' un periodo difficile per Emmegrande: le medie, l'adolescenza incombente, gli ormoni allo sbaraglio gli complicano la vita e a noi di conseguenza. Emmepiccola reclama il suo fratellone come lo conosceva e diventa insofferente e piagnucolone, Emmemaxi aggiunge lavoro a lavoro per vedere di tirar su quel poco di più che basterebbe per arginare le nefaste conseguenze della crisi economica, della macchina da cambiare, delle mille cose che si sono rotte/guastate negli ultimi mesi.
E io arranco, sbuffo, mi arrabbio, mi sveglio la notte in un bagno di sudore con il cuore che va a mille.
Ma non è colpa di nessuno, nessuno ce l'ha con me, è la vita e queste sono le sue conseguenze naturali, affrontandole nel modo migliore poi passano.
Conto fino a cento, mille, diecimila, mi arrabbio e urlo ma cerco di resistere alla tentazione di prendermela di nuovo con il mondo intero.
Diciamo che la fase di ricostruzione di me stessa è arrivata più o meno al pavimento del pianterreno.
Devo mettermi d'impegno per campare almeno fino a cent'anni se voglio arrivare al tetto.
Ma mi accontenterei di un solido e robusto piano ammezzato.

lunedì 9 dicembre 2013

Cronache dal fronte

Stamani, alle nove, il McDonald di Piazza Castello era aperto e affollatissimo. I baldi manifestanti, dopo aver intimato a tutti gli altri negozianti di chiudere pena la devastazione dei locali, stavano facendo la colazione globalizzata prima di andare a protestare contro la globalizzazione.
Poi, con la pancia piena, si sono tirati giù i passamontagna e hanno dato il via alle danze.
A mezzogiorno, sotto le finestre del mio ufficio, era guerriglia.
Hanno cominciato con le bombe carta, i boati facevano letteralmente tremare i vetri. Uno, due, dieci.
Le forze dell'ordine, in assetto antisommossa, per un po' non hanno fatto niente.
Poi hanno cominciato a volare i sanpietrini, se passate dalla parte della piazza a lato di Palazzo Madama noterete le buche sul marciapiede, gli hanno letteralmente divelti e la polizia ha risposto con i fumogeni.
Tutto quello che indossavo oggi puzza di fumo.
Erano ragazzotti, mentre devastavano filmavano vicendevolmente le loro imprese con gli I-phone.
Hanno rovesciato bidoni, invaso i bar che erano rimasti aperti e minacciato i proprietari e chi vi lavorava.
Noi siamo rimasti chiusi in ufficio fino oltre le diciassette, l'ordine era di non aprire a nessuno.
Dalla finestra ho visto tre ragazzini, avranno avuto sedici, diciassette anni al massimo.
Camminavano e ridevano, arrivati all'altezza delle pensiline della GTT hanno tirato fuori i bastoni e le hanno sistematicamente distrutte.
Adesso, grazie al loro gesto, ci sarà pane e lavoro per tutti, immagino.

mercoledì 4 dicembre 2013

Le rotture non vengono mai da sole.

Il primo a dare segni di incipiente agonia è stato il Doblò di famiglia. La mattina, per farlo partire, occorrono scongiuri e riti voodoo.
E' un diesel, e se una volta queste macchine erano fatte per durare a lungo adesso basta che si scassi una candeletta dal valore di 20 € per doverle buttare. Perché se si scassa la candeletta c'è da revisionare tutto il motore e poi non si sa se reggono le turbine e il diavolo che se le porti e il preventivo per la riparazione supera i mille euro. Il catorcio ne vale 1.500, valuazione Quattroruote.
C'è da cambiarlo.
Poi il mio telefonino figo che ci si fa anche il caffè, in teoria perché in pratica non sono mai riuscita né a mandare un mms né a connettermi su internet, improvvisamente decide di non funzionare più. Il touchscreen completamente andato, roba che se provo a digitare 345 lui capisce 189, e non riesco nemmeno più ad accenderlo perché non riesco ad inserire il PIN. Tutti i numeri di telefono allegramente dispersi. E anche la mia meravigliosa playlist musicale.
Ieri ne parlo con il marito, ne ho bisogno di uno nuovo. Aspetta amore, dopo Natale ci sono le promozioni, magari lo prendiamo con meno! Evvabbè, utilizzerò quei due residuati bellici che abbiamo in casa al posto del mio figofono dual sim, ha ragione lui, dobbiamo risparmiare per comprare la macchina nuova.
Oggi scopro che i due catorci hanno le batterie con un'autonomia rispettivamente di venti minuti e di due ore.
Richiamo il marito, oggi mi fermo al super e ne cerco uno.
Eh ma checazzo! Prendi sempre le cose di punta! In qualche maniera ci arrangiamo, aspettiamo dopo le feste!!!!
Mumble.
Mio marito, che ogni mattina mi dice prima buongiorno amore e poi ricordati il cellulare, che ogni volta che mi muovo di casa mi insegue per essere sicuro che lo prenda, che quando partiamo per un paio di giorni mette in valigia prima il caricabatterie e poi le mutande, che se ne esca con un'affermazione così mi suona strano.
Amore, facciamo che il regalo di Natale me lo dai adesso e sotto l'albero mi metti un pacchetto di cioccolatini.
Ecco, a te non c'è verso di farti una sorpresa!
A questo punto il sospetto è che sia stato lui a prendere a martellate nottetempo il mio defunto cellulare per giustificare il suo regalo.


Comunque non mi chiamate, tanto non posso rispondere. Al limite mandate un piccione viaggiatore.

lunedì 25 novembre 2013

Che magari si son messe pure le scarpe rosse.

Settimana scorsa.
Emmegrande torna dal pomeriggio all'oratorio arrabbiato e sconvolto. Un compagno di classe ha cambiato il nome del gruppo sul quale chattavano di cretinate tramite Whatsapp in "la ragazzina S. è una puttana". E da lì a riempire la malcapitata dei peggiori epiteti il passo è stato meno che breve. Mio figlio ha mandato un solo messaggio, "siete una manica di stronzi" e si è cancellato dal gruppo, poi è venuto a casa e ci ha raccontato tutto. Nel frattempo il cyberbullo in erba aveva aperto altri due gruppi: "Emmegrande è l'avvocato delle merde" e "Emmegrande è un frocio di merda". Ma mio figlio dice che se ne frega, sono solo chiacchere e distintivo, puo' dire quello che vuole ma non gli darà soddisfzione.
Orgogliosi del suo comportamento ma preoccupati dalle ripercussioni che il tutto potesse avere sull ragazzina, undicenne, e anche su nostro figlio abbiamo valutato il da farsi. Non conosciamo i protagonisti del tutto, la bimba frequenta un'altra scuola media e non sappiamo chi siano i genitori del cyberbullo in erba. Decidiamo di parlare con il prof di lettere della classe, è un ragazzo giovane amato dai ragazzi per la sua disponibilità e la sua apertura mentale.
Lui ci riceve e ci garantisce che affronterà l'argomento in classe, magari senza fare casi specifici ma giusto per far sapere quali possono essere le conseguenze per la vittima e anche quelle, legali, per i molestatori. Oltretutto la classe di Emmegrande rientra in un progetto sperimentale seguito da un'equipe di psicologi ed educatori volto a capire e a superare le difficoltà che trovano i preadolescenti in un momento di transizione come questo, di passaggio di età e di scuola, nuovi compagni, nuovi ritmi, nuovi insegnanti, ne parlerà anche con loro e valuteranno come agire.
Parlavo dell'accaduto con tre donne, tre mamme. Una più vecchia di me, una coetanea, una più giovani. Figli di età diversa, due femmine e un maschio.
E' ovvio che non mi aspettavo applausi e standing ovation per il mio agire, ma sono rimasta un zinzino sconvolta.
Reazione 1 (la più vecchia): E perché sei andata a parlarne con il professore? Tanto è tempo perso, i genitori di quei ragazzi non capiscono niente, non li seguono, chissà che gente è, da dove vengono. Tuo marito sicuramente conosce qualcuno che avrebbe potuto oscurare il gruppo e morta lì. Come "ne avrebbero potuto aprire un altro"? Se non c'era coinvolto tuo figlio chettefrega. Tanto lo rifaranno comunque. E se adesso se la prendono con lui? Sì, vabbè, tu e tuo marito gli avete spiegato che con voi può parlare di tutto e voi cercate di aiutarlo, ma quando si è preso un pugno nella pancia potete parlare finché volete. Che c'entra l'omertà? L'omertà è quella che hanno i mafiosi, qui si tratta di viver tranquilli.
Reazione 2 (la più giovane, bella e conscia di esserlo, spesso indossa mini e tacchi alti e vistose scollature che peraltro può perfettamente permettersi): Ma non facevate meglio a informarvi meglio sulla ragazzina? Cioè, magari lo è veramente... Adesso a undici anni vanno su meetic a trovare gli uomini per farsi pagare le ricariche al cellulare. E chissà come si sarà comportata, se fa la svenevole ora con uno e ora con un altro ci credo poi che i compagni la chiamano puttana o peggio. No, non si dovrebbe comunque fare una cosa come hanno fatto, ma di queste ragazzine non c'è mica più da fidarsi. Certo che se adesso avete sollevato il polverone e poi quella è una troietta sul serio... Vabbè, ci sono anche quelle che si sono suicidate per il cyberbullismo, ma dovevano solo stare attente prima, se ti fai le foto o vai in giro vestita da troietta poi te le cerchi pure...
Solo la mia coetanea, madre di un figlio maschio un po' più piccolo del mio mi ha dato ragione.
E io rimango qui a pensare che possiamo fare anche il mese contro la violenza sulla donna, o l'anno, o il secolo, ma fino a quando ci scontreremo con queste donne qui mi sembra tutto così inutile, così vano, così retorico che l'unica cosa che mi rimane da fare è ringraziare il cielo che i miei figli capiscono l'insegnamento che viene loro dato in casa, che nessuna donna, in nessun caso merita alcuna forma di violenza.

E con il cyberbullo in erba come è andata a finire? Che si è lamentato con gli operatori del progetto pilota che nessuno in classe è suo amico. E mio figlio, MIO figlio, ha avuto l'immenso coraggio, per un undicenne, di alzarsi e dire che non può pretendere di avere amici se si reputa in diritto di offendere chiunque, che chi sta con lui lo fa per paura di essere offeso e non per amicizia, che se vuole avere amici deve cambiare atteggiamento. E lui, dopo la lezione, si è scusato e lo ha ringraziato.
Concedetemi un attimo di pavoneggiante orgoglio materno.

martedì 19 novembre 2013

Il gentile utente #3

- Buongiorno, è che io ho fatto la domanda per l'esenzione un mese fa e non ho ricevuto risposta...
- Buongiorno a lei, gentile utente. Se ha fatto la domanda un mese fa è ancora un po' presto.
- Ma io il bollo lo pago o no?
- No, per adesso non lo paghi, anche se dovesse avere una risposta negativa lo regolarizzerà poi senza sanzioni o interessi.
- Ma è sicuro che la domanda l'avete ricevuta?
- Aspetti che controllo... Sì, l'abbiamo ricevuta a metà ottobre, stia tranquillo.
- Io sarei più tranquillo se me la facesse spedire di nuovo.
- Ma, gentile utente, perché vuol spendere di nuovo i soldi della raccomandata? Le dico che l'abbiamo ricevuta!
- Sarei più tranquillo, e poi mica le faccio una raccomandata, la invio per fax.
- Come crede.
- La posso mandare alla sua attenzione?
- (ottima idea, così come arriva l'allego all'altra che ha già spedito e non ci sono pratiche doppie in giro) Faccia pure, io sono Vinattieri.
- Finanzieri?
- Vinattieri.
- Filatteri?
- No, Vinattieri come il vino.
- Vinocchieri?
- No, scriva: Verona, Imola, Napoli...
- Va bene, grazie.

Dopo una settimana la collega ebbe l'illuminazione divina e capì che la misteriosa Dott. Visari alla quale era indirizzato il fax che vagava da un ufficio all'altro ero io.

giovedì 14 novembre 2013

Dolcè metà

Il tram n. 4 passa intorno alle sette e trentasette. Quando salgo è già affollato, i ragazzi delle scuole superiori e i loro ingombranti zaini sono appesi ai sostegni e con l'altra mano spippolano incessantemente sui loro cellulari, quelli che hanno trovato un punto di appoggio approfittano del tragitto per un veloce ripasso della lezione, il libro o il quaderno incastrati tra gomito e ginocchio. I vecchietti sono la maggioranza, si dividono in due categorie:
  1. Vecchietto con cartella clinica, che spesso ha le dimensioni e l'ingombro di un raccoglitore da ufficio. Il vecchietto con cartella clinica scende alla fermata dell'Ospedale Mauriziano o, al limite, a quella successiva che corrisponde a un'agenzia INPS;
  2. Vecchietto con borsa della spesa. La borsa della spesa in questione è di quelle tipo trolley, e il vecchietto è il più pericoloso perché percorrerà quasi tutto il tragitto del tram per andare a fare la spesa al mercato di Porta Palazzo. Dicono che lì i prezzi siano più bassi, il fatto che i mercatari tendano a tirarti solenni fregature è un particolare del tutto trascurabile.
Capirete che con una clientela così ingombrante è santa manna se riesco a ritagliarmi un angolino tra un'ascella pezzata e un cappotto che odora di cucina cinese e incastrarmi fino alla mia fermata, se sono proprio fortunata e riesco ad appoggiarmi alla parete del tram estraggo un libro dalla borsa e leggo qualche pagina nell'attesa dell'annuncio "prossima fermata: Bertola - next stop: Bertola" che una signorina elettronica scandisce da altoparlanti nascosti. Poi sgomito fino all'uscita e finalmente rivedo la luce.
Sul tram 4 si fanno incontri interessanti: la signorina disabile che sale con me vuole assolutamente il posto a sedere, è vero che le spetta ma a volte fa alzare le vecchiette novantenni se le vede sedute nel sedile riservato.
Qualche settimana fa una tizia ha riconosciuto la nuova compagna di suo marito. L'ha ricoperta di insulti ed improperi mentre noi passeggeri facevamo stoicamente finta di non sentire. La poveretta cercava di calmarla, di farle capire che non era il caso, né il luogo né il momento, ma l'altra non si è sentita soddisfatta fino a che tutta la popolazione tramviaria non ha capito che era una gran puttana ruba mariti. Che con una moglie così c'è anche da capire perché il tipo se ne sia cercata un'altra.
Invece la coppia di stamani di anni insieme ne deve aver trascorsi tanti, almeno a giudicare dall'età. Lei piccola e tondetta, un cappotto trapuntato e un acconciatura tinta di nero corvino e impalcata da bigodini e lacca, una borsetta in mano e la borsa con le ruote nell'altra, lui grigio e un po' curvo, la giacca a vento stampata principe di Galles e una coppola di tweed marrone in testa. Lei si guarda intorno con fare compunto e orgoglioso, lui sta appeso con la testa bassa a uno dei sostegni. Alla fermata dell'ospedale scende la prima tornata geriatrica, alcuni posti si liberano. Due ragazzi girano appena lo sguardo verso i sedili vuoti ma lei tuona : "Guagliò, statte bbuono che noi siamo anziani!" e prende posto con la regalità della cara, vecchia Liz. Poi si volta verso il marito, che è rimasto appeso alla maniglia e non da segni di aver capito la situazione: "Gennà, assittate!" 
Ma Gennà non si muove.
"Assittate, t'ho detto!"
E Gennà rimane appeso.
A questo punto lei si alza, brandisce la borsetta e gliela tira in testa.
"Gennà! Ma sei scimunito o cosa? Assittate, t'ho detto".
E Gennà, mite e docile, si assitta.
Forse la coppola non la mette per ripararsi dal freddo, ma dalle intemperanze della dolce metà.
Ma si vede che il metodo funziona, visto che il matrimonio ha retto.

lunedì 11 novembre 2013

Le apparenze ingannano

Mi piace viziare mio suocero, soprattutto adesso che è reduce da un triplo by-pass coronarico affrontato alla stragrande, vivaddio.
Ieri ha accompagnato i nipoti alla partita di basket della squadra di Torino, io sono andata a prenderli all'uscita. Erano afoni, infreddoliti dal vento che si era alzato improvvisamente e i due marioli erano iperadrenalinici e supereccitati, quindi per farli contenti e consolarli dalla sconfitta li ho portati al ristorante Asian Fusion meglio definito, dagli Emmeindue, come "il ristorante con i piatti che camminano"
Sul tapis roulant passa di tutto, cucina cinese, sushi e lasagne al forno, noi ci sediamo al bancone e prendiamo quello che ci va.
Generalmente io ed Emmegrande ci strafoghiamo di sushi e sashimi, Emmepiccola e il Nonno di noodles e riso cantonese, Emmemaxi mangia tutto quello che passa. O quasi.
Ieri Emmemaxi lavorava, faceva il turno di notte, il Nonno ha percepito che la sorveglianza era meno stretta del solito e la pila di piattini vuoti davanti al suo posto ha raggiunto un'altezza davvero ragguardevole.
Mentre io ero alle prese con i litchies sciroppati e i bambini si stavano facendo servire il gelato al tè verde il Nonno ha arraffato l'ennesima porzione di peperoni alla piastra. Erano quasi le nove di sera, ma la prospettiva di passare la nottata arrampicandosi sui muri manco l'ha sfiorato.
Mi sono distratta un attimo per sistemare il tovagliolo al piccolo, quando ho rialzato gli occhi ho visto che il Nonno aveva spalmato uno spesso strato di salsa wasabi sui peperoni.
A me la salsa wasabi piace, in modica quantità e diluita con la salsa di soia, ci puccio il sushi o il sashimi e ci bevo sopra un bel po' di birra per spegnere l'incendio.
Lui aveva spalmato uno spessore di mezzo centimetro di wasabi sui peperoni.
Contemporaneamente
  • io ho urlato NOOOOOO!!!!
  • i bambini hanno cominciato a sghignazzare
  • il nonno si è ficcato in bocca una ragguardevole quantità di peperoni drogati.
Subito dopo si è messo a urlare come se lo scannassero intimando "VADE RETRO!!!!" al piatto incendiario, con gli altri clienti del ristorante che ridevano come a una delle migliori puntate di Zelig.
Per rifarsi la bocca si è fatto fuori altre due porzioni di riso cantonese.
Gli ho chiesto come gli fosse venuto in mente di usare tutta quella salsa, lo sventurato rispose che l'aveva scambiata per bagnetto verde.
Tipica salsa da asian fusion, direi.

martedì 5 novembre 2013

La marmellata della Sbullonata annoiata

Mi hanno tolto un neo dalla caviglia destra. In poche parole una cretinata, nei fatti due punti di sutura nel punto in cui si piega il piede e due settimane agli arresti domiciliari: niente scarpe, niente collant, niente guida e poche camminate per evitare che la ferita si infiammi e si trasformi in una tendinite.
E io mi annoio, che la vita della casalinga non fa per me.
Mi alzo comunque presto perché i bambini vanno a scuola, prima delle nove ho già sistemato casa - mai stata così pulita e ordinata, manco sembra più casa mia! - e per il resto della mattinata ciondolo tra cretinate televisive e lavoretti vari che avevo lasciato sospesi da anni.
Ma due settimane sono lunghe.
Poi Emmemaxi va a fare la spesa e compra una tonnellata di clementine, dimenticandosi che ne avevamo almeno un paio di chili dalla settimana scorsa.
Il frigo è invaso da palline arancioni che rischiano di fare una brutta fine, visto che sono praticamente l'unica che le mangia: al marito sono vietate perché iperglicemiche e i figlioli vanno il sollucchero per loro la prima settimana e poi devono essere inseguiti perché ne mangino almeno una.
Allora, visto che ho tempo e una forma di pane appena sfornata (pane buono, sciapo, fatto con le mie manine e la pasta acida, roba che Banderas deve andare a nascondersi con la sua cavolo di gallina e il suo pane di gommapiuma) decido di trasformarli in marmellata.
La marmellata Sbullonata
Prendete i clementini, toglietegli il residuo di picciolo verde e pesateli. Annotatevi il peso da qualche parte, altrimenti ve lo dimenticate. Lavateli bene e metteteli in una pentola capiente coperti d'acqua, fate bollire e, all'apparizione delle prime bolle abbassate la fiamma al minimo e lasciateli sul fuoco per 45 minuti. Scolateli bene e metteteli su un panno, dove li dimenticherete per due ore.
Trascorse le due ore divideteli in 4 ed eliminate i semini. Perché i clementini, checché ne dica il fruttivendolo che ve li ha venduti, hanno sempre qualche semino malefico e amarissimo.
Metteteli in un mixer o in un frullatore e riduceteli in poltiglia, non troppo fine che qualche pezzetto sotto i denti ci vuole.
Adesso prendete il bigliettino dove avete annotato il peso iniziale, ve lo avevo detto che vi sarebbe servito. Vi serve la sua metà in zucchero: se i clementini iniziali erano un chilo ve ne serve mezzo, se erano tre etti ve ne servono centocinquanta grammi. Ma fare la marmellata con tre etti di clementini non ha senso nemmeno se siete Barbie.
Mescolate bene e aggiungete un bicchiere d'acqua, rimettete sul fuoco bassissimo per un po' meno di un'ora. La marmellata è pronta quando ne versate un cucchiaino su un piattino e quella resta lì senza smuoversi nemmeno se ballate il chachacha con il piattino in mano.
Versate ancora bollente nei vasetti di vetro e chiudete bene il tappo, poi mettete i vasetti a testa in giù finché non sono freddi. Quando li girerete e premerete sul tappo quello farà clak e sigillerà il contenuto perché non si deteriori.
Quella che rimane attacata al fondo della pentola mica si butta, la si spalma sul cantuccio del pane buono (mica quello di gommapiuma) e la si mangia immediatamente.
Se non torno al lavoro ingrasso di venti chili.

martedì 29 ottobre 2013

Ragazzate

Quando andavo alle elementari sono stata vittima di bullismo, solo che allora non si chiamava così, si diceva che erano ragazzate.
Ma io ho ancora delle immagini vivide di terrificanti ricreazioni, io con la testa tra le braccia rincantucciata in un banco e le altre che mi giravano intorno prendendomi in giro.
Loro si sentivano in diritto di farlo, io ero "diversa".
Loro erano belle, magre, popolari e agili,
io ero bruttina, goffa e con gli occhiali, non sapevo fare la ruota, avevo pure i genitori separati.
Allora mi giravano intorno e mi prendevano in giro, io le imploravo di smetterla ma loro me lo dicevano chiaro e tondo, finché non piangi non la smettiamo.
L'insegnante non stava in classe durante l'intervallo, prendeva il caffè con le colleghe in una saletta in cui a noi scolari era interdetto l'ingresso, quando rientrava io piangevo e le altre si erano di nuovo trasformate nelle alunne modello, belle, educate e con il loro fiocchetto rosa bello dritto sul grembiule bianco.
Inutile lamentarmi a casa, la risposta era sempre la stessa, sono ragazzate, lascia perdere.
Da queste ragazzate mi sono difesa diventando bulla dentro anche io, il mio animo da "merdaccia" deriva proprio da la. Solo che non essendoci nata non sono capace di esserlo fino in fondo e il più delle volte mi faccio male da sola, prima o poi imparerò a gestirlo, a questo punto più poi che prima.
Poi leggo sui giornali dell'ennesimo ragazzino che si suicida perché vittima di bulli, lo prendevano in giro perché "diverso", perché gay. Anche a lui qualcuno avrà detto che erano solo ragazzate?
E poi leggo ancora l'ultima notizia, un ragazzino disabile picchiato, dileggiato, filmato mentre si contorce a terra ferito più nell'anima che nel corpo, un'insegnante accorta che interviene anche se il tutto succede in cortile, durante l'intervallo. Una denuncia, concordata con il preside, ai Carabinieri, il caso finisce al Tribunale dei minori, gli aggressori, tutti tredicenni, costretti a seguire un percorso rieducativo.
Il padre di uno di questi si indigna, si arrabbia, contesta: è stata una ragazzata.
No, non sono ragazzini. Sono merdacce in itinere. E lui che li difende è la merdaccia più fetente.

lunedì 21 ottobre 2013

Maschio nell'anima

E' lunedì mattina e sono a casa, in modalità "Mammina premurosa".
Emmegrande è ko, probabilmente a causa della sua bella abitudine di uscire dagli allenamenti di basket sudato come un cammello con la giacca slacciata, altrimenti non si vede l'elastico delle braghe che spunta dai calzoni.
Ieri sera aveva mal di testa e febbre a 37.9°. Un piccolo rottame d'uomo rantolante tra letto e divano, avvolto in strati di pile e, sintomo quanto mai preoccupante, immune agli stimoli dell'appetito.
Dopo oppurtuna terapia a base di paracetamolo la temperatura è calata e, ad adesso, è stabile sui 36.5°, il poveretto è acciambellato sul letto con la solita coperta di pile e la gatta che fa da premurosa infermiera.
Soffre tanto, ma si fa coraggio. Adesso ha tratto immediato giovamento dalla visione di un cupcake al cioccolato su Real Time.
Altri sussulti vitali glieli da la visione dei terribili programmi di Dmax, ma la situazione non è ancora serena, non ha ancora ritrovato interesse per i videogames.
Ma sono ottimista.
Lui no.
Uomini. Già da bonsai sono tutti uguali.

martedì 15 ottobre 2013

Ufficio complicazioni affari semplici

"Gentile genitore,
da quest'anno scolastico cambia la modalità per pagare le tariffe dei nidi d'infanzia e della ristorazine scolastica nella scuola dell'infanzia e dell'obbligo. Non ci saranno più i bollettini di pagamento cartacei, ma un sistema di pagamento chiamato 'Borsellino elettronico'"
Ecco, io non so voi, ma quando io ricevo lettere che annunciano fighissime innovazioni comincio a sudare freddo.
E ne ho ben donde.
Premetto, io non ho mai usato i bollettini per pagare la mensa - cara ai limiti dell'esoso - dei figlioli, avevamo l'addebito automatico in conto corrente. Ogni mese ci venivano prelevati i soldi necessari e noi non dovevamo pensare a scadenze o file in posta.
Direte che adesso è ancora più facile.
Col cazzo.
Bisogna registrarsi su un sito, attivare 'sto cacchio di borsellino e versarci, con carta di credito o bonifico bancario un credito a piacere.
Chi non ha il pc in casa può recarsi presso i punti informatici delle circoscrizioni, aspettare con calma il proprio turno e adempiere ai propri doveri telematici.
Che teoricamente uno versa l'importo per tutto l'anno ed è a posto.
Aricolcazzo.
Io e mio marito, secondo il comune di Torino, siamo straricchi. Abbiamo due redditi di lavoro dipendente e una casa di proprietà, ancorché gravata di sostanzioso mutuo per altri nove anni, quindi non vale nemmeno la pena di fare il modello ISEE, siamo nella fascia di reddito più alta, il che si traduce in € 150 mensili per la mensa di Emmepiccola. 150 x 9 = 1350. Una miseria, per Luca Cordero di Montezemolo. Un salasso, per noi comuni mortali.
Quindi ogni mese dovremmo ricordarci di accedere al sito, al borsellino e ricaricare dell'importo necessario, alla modica cifra di € 4.50 per operazione.
LADRI MARIUOLI!
E se uno non lo fa? Minacciosa la società di servizi che si occupa del tutto avverte che invierà a casa il bollettino gravato di € 2.23 a titolo di spese di spedizione a carico del destinatario.
Possino crepare, io il borsellino elettronico non lo attivo.
E se ne vadano a stendere.

p.s.: per somma presa di giro la società avverte che da quest'anno alcune scuole sperimenteranno il "pagamento a consumo". Nel senso che poiché fino ad adesso anche se il ragazzino si ammala e sta a casa una settimana la mensa la si paga comunque per tutto il mese, sperimenteranno se conviene farla pagare solo per i giorni di effettiva presenza. Figo. Peccato che la sperimentazione parta dalle scuole medie, delle quali forse tre o quattro su tutto il territorio fanno il tempo prolungato, il resto tutti a casa per pranzo.
Li possino.

domenica 13 ottobre 2013

Pistina

Per i non piemontesi e i non importati sappiate che il pistino è sinonimo di pedante, pignolo.
Ecco, io per certe cose lo sono non poco.
Per esempio sull'abbigliamento.
Premetto che io non seguo tanto la moda, un po' per il budget sempre limitato, un po' perché sono femmina atipica poco propensa allo shopping. Odio andare per vetrine, odio le riviste di moda e odio i fashion blog. Se qualcosa mi piace e mi sta bene la prendo, indipendentemente dai dettami dei guru del fashion.
Ma su certe cose non transigo.
Per esempio non sopporto per niente coloro che in vacanza si prensentano a cena al ristorante dell'hotel/resort/villaggio in calzoncini da bagno e infradito. Insomma, non si pretendono il completo o l'abito da gala ma una tenuta decorosa sarebbe indicata.
Non tollero nemmeno le fanciulle che arrivano in spiaggia con il tacco dodici e il lamè, magari truccate come per un red carpet. Mi danno l'impressione di non essersi riprese dalla sbornia della sera prima.
Fossi una dirigente emetterei un ordine di servizio che vieta il bermuda in ufficio, sia per le donne che per gli uomini. E in ufficio non concepisco nemmeno le pettinature cotonale, le scollature abissali o gli short.
Ma il mio peggio lo do in occasione delle cerimonie. Comincio ad arricciare il naso sul sagrato della chiesa e tormento mio marito per tutto il viaggio di rientro a casa con critiche al vetriolo sugli altri invitati.
Che volete, sono una donnina all'antica e per me certe regole si rispettano, è anche una questione di buona educazione.
Ieri, al matrimonio della mia meravigliosa cuginetta acquisita - splendida, una visione in un abito champagne semplice e raffinato - ho avuto modo di stilare la mia personalissima lista di mai più con, che non servirà a nessuno di voi ma rimarrà qui a perenne memento delle mie idiosincrasie.
Potete opinare o aggiungere, a piacer vostro.
Uomini
- Mai più con completi in tweed, velluto a coste o fustagno. Siete a una cerimonia, non ad un pranzo in campagna;
- Con il maglioncino senza giacca se avete più di quindici anni;
- Con i jeans modello talebano e l'elastico della mutanda che ne sporge, anche se siete baldi ragazzotti universitari;
- Con i cargo con le tasche sui fianchi, mica state andando ad esplorare la savana;
- Con le camicie di flanella a quadri sotto il completo blu, anche se fa freschetto siete uomini e dovete resistere;
- Con il completo bianco e la camicia fucsia, fa tanto sosia di Elvis nei momenti peggiori;
- Con la camicia a mezze maniche sotto il completo scuro.
Donne
- Mai più con vestiti bianchi, panna, avorio o champagne. Cacchio, sono colori riservati alla sposa ed è inutile che sosteniate che comunque voi indossate un tailleur o un tubino, non si fa e basta. Al mio matrimonio un'invitata è arrivata con un abito bianco lungo fino alle caviglie, l'avrei uccisa;
- Con tailleur in tweed, velluto a coste, fustagno. Vale quanto scritto per la categoria uomini con l'aggravante che ricordate tanto la Regina Elisabetta in tenuta da residenza in Cornovaglia;
- Con minigonne inguinali anche se avete le gambe di un metro e dieci, non ci fate una bella figura nemmeno in caso di matrimonio civile;
- Con gli stivali. Rendono immediatamente inelegante qualsiasi vestito anche se hanno il tacco altissimo. Anzi, in questo caso danno subito quell'aria da domatrice di leoni che proprio non si confà a una cerimonia;
- Con i collant di pizzo di cotone se si hanno più di otto anni;
- Con i jeans e le ballerine se si è superato il sesto anno di vita;
- Con la giacca corta di piumino sul vestito bello;
- Con i vestiti di carta stagnola a un matrimonio mattutino. Teoricamente il lucido, il lamè, il lurex dovrebbero essere riservati alle cerimonio serali;
- Con i sabots bassi. Serve che aggiunga altro?
E questo, logicamente, è un piccolo prontuario per matrimoni normali, tra persone normali e con parenti normali, non per quegli avvenimenti di portata epocale orchestrati da isterici wedding planner modello Miccio. Secondo me è il minimo sindacale per non entrare nella leggenda come i più ridicoli del reame.
Tipo la splendida fanciulla che ieri aveva un vestito dall'orlo a punte in jersey bianco a fiori, un giustacuore fucsia, calze di pizzo di cotone viola e sandali bianchi con il mezzo tacco.
Signore, pietà!

giovedì 3 ottobre 2013

That's my home

Io mi auguro che i miei figli abbiano una casa.
In senso lato, non solo un tetto sulla testa.
Ma vivano sotto un cielo amico, abbiano un lavoro che gli permetta di vivere con dignità, le cure mediche se ne avessero bisogno.
Mi auguro che possano uscire per strada senza paura, che guardino in alto per vedere se volano le rondini, non se sui tetti dei palazzi ci sono i cecchini.
Che possano leggere quello che vogliono, parlare di quello che credono, amare chi fa loro battere il cuore senza temere per la loro vita se è della razza, del popolo, dell'etnia sbagliata.
Che possano avere figli senza timori per il loro futuro se non quelli ragionevoli per ogni genitore.
E se oggi mi accorgessi che il cielo sotto cui vivamo diventasse nemico, se temessi per loro la fame, la miseria, la perdita della dignità fuggirei ovunque.
A piedi, in bicicletta, con l'autostop, tenendoli per mano o sulle spalle se fossero stanchi ma fuggirei in cerca di una casa per loro.
In barca, come tanti, come fanno tanti.
Come le vittime di Lampedusa, le ennesime, un addendo spropositato a una somma che aveva già troppe cifre.
E' il momento di piangerle.
E' il momento di maledire che li uccide materialmente abbandonandoli al loro destino a un passo dal cielo che dovrebbe essere loro amico, di maledire chi banchetta sui loro resti strumentalizzandoli politicamente.
Chi, sotto sotto, pensa che dopotutto gli sta bene, dovevano solo stare a casa loro.
Come se il mondo non fosse la casa di tutti.

lunedì 23 settembre 2013

Di pancia e di cuore

Io ho un'amica.
L'ho conosciuta grazie al mio primo blog, abitiamo vicine e abbiamo bambini della stessa età.
Siamo diventate amiche di pancia e di cuore, unite dalla comune passione per Ligabue e da tutte le diversità che ci legano:
io pennellona bionda che si veste di tutti i colori, lei piccola e bruna sempre vestita di scuro;
io impulsiva e caciarona, lei riflessiva e pacata;
io ottimista inguaribile con sprazzi di depressione, lei pessimista cosmica leopardiana con sprazzi di follia.
La mia amica ha un bimbo più grande di Emmepiccola di qualche mese, lei lo chiama il Cucciolo Bizzarro.
Anche lui e mio figlio sono diventati amici.
Hanno imparato a saltare sui tappeti elastici, ad andare in monopattino e sulla bici senza rotelle sempre insieme.
Quando andiamo in vacanza il primo souvenir che compra Emmepiccola è per il suo amico.
Se il Cucciolo Bizzarro è triste anche Emmepiccola lo diventa, se è allegro l'allegria raddoppia, se è nervoso pure mio figlio lo diventa.
Condividono giochi, carte di Yu-gi-oh e si parlano al telefono in un linguaggio che capiscono soltanto loro, ma tra loro si capiscono.
Sono amici di pancia e di cuore, come le madri.
E io, con questa madre, oggi piango.
Con lei ma non per lei.
Piango per quei bambini figli di genitori scellerati che gli hanno fatto cambiare scuola perché in classe con loro c'era un bambino autistico, e non sapranno mai quante cose avrebbero potuto condividere con lui, imparare da lui.
Come fa Emmepiccola con il suo amico Cucciolo Bizzarro.

mercoledì 18 settembre 2013

La tortina di nonnina Paperina

Se fossi stata Eva la sorte del mondo sarebbe stata decisamente diversa. Odio le mele. Le trovo un frutto stupido, non mi faccio tentare né dal profumo di rosa delle Annurka né dall'acida croccantezza delle Granny Smith. Aborro la stucchevole dolcezza delle Golden e la farinosa consistenza delle Royal Gala. Le uniche che tollero, in caso di fame nera, sono quelle selvatiche, piccole piccole, che finiscono in tre morsi. In compenso le amo trasformate in altre cose che non siano palle ricoperte di buccia: in succo, tassativamente non zuccherato, in mousse, in torta. Ma non la torta classica, quella con le fettine disposte ordinatamente a raggera che spesso viene portata da chi invito a pranzo, ho portato una torta di mele, tanto piace a tutti. Ecco, non a me.
Adoro l'Apple Pie, è una delle poche cose buone che abbiano inventato gli americani insieme al burro di arachidi e al gelato Haagen Dazs.
Già da quando ero bambina e leggevo Topolino fantasticavo sui fumetti di Nonna Papera, che metteva quel dorato capolavoro esalante fumi i cui odori potevo solo immaginare a raffreddare sul davanzale, al riparo dagli assalti del goloso Ciccio, quando l'ho assaggiata ho scoperto il paradiso. Il gusto delle mele, mescolato a quello delle spezie, rallegra le papille e predispone alla pace nel mondo. Non capisco perché gli americani, che la mangiano praticamente ogni giorno, siano così guerrafondai.
Ho provato tante volte e con tante ricette a riprodurla, il risultato è sempre stato penoso. fin quando non ho brevettato la versione mini, ottima da cacciare nello zaino dei figlioli come merendina per la scuola.
Occorre un po' di pazienza, ma vale la pena di provare.
Per i puristi della frolla: saltate la prima parte che non fa per voi e continuate a fare la frolla con tutti i crismi, quella che segue è la ricetta per le mamme indaffarate che hanno poco tempo a disposizione.
Servono 250 g. di farina, 125 g. di zucchero, 125 g. di burro morbidissimo, un uovo intero e un rosso e un paio di cucchiaini di lievito vanigliato. Il bravo pasticcere impasterebbe tutto velocemente in punta di dita, io sbatto tutto nella planetaria e quando è diventata una massa informe con parecchie briciole ancora vaganti do un'ultima amalgamata a mano. Poi si avvolge nella pellicola e si mette in frigo, in basso, per almeno mezz'ora.
Puristi della forlla: potete ricominciare a leggere.
Nel frattempo si mettono in padella le mele tagliate a dadini. Per la quantità di frolla di cui sopra servono due Gala piccole o una Golden e mezza. Da evitare le Granny e le melone rosse di Biancaneve. Le prime sono troppo acide e le seconde si spappolano miseramente. Le dosi del ripieno sono assolutamente empiriche, aggiustatele a piacere vostro: un paio di cucchiai di zucchero di canna, una bella spolverata di cannella e di zenzero in polvere, una manciata di uvetta ammollata e, se vi piacciono, un bel po' di pinoli. Lasciate sul fuoco medio rimestando spesso, finché le mele sono tenere. Da gourmet sarebbe la fiammata di brandy, ma se vanno nello zaino dei pargoli e non volete trovarvi gli assistenti sociali sull'uscio di casa evitate e, se diventa troppo asciutto, allungate con un po' di acqua tiepida.
Togliete la frolla dal frigo e stendetela più sottile che riuscite, tagliatela a dischi con un bicchiere e foderate i pirottini da muffins (serve la teglia con gli stampini, ovviamente) e metteteci dentro una bella cucchiaiata di composto. Coprite con un dischetto di pasta più piccolo, se volete fare i fighi potete sigillare i bordi con i rebbi della forchetta ma non importa, perché la pasta cresce un pochino e si sigilla da sola. Vanno cotti in forno ventilato a 180° per 15/20 minuti. In un contenitore ermetico sopravvivono una decina di giorni ma, se vengono bene, di solito finiscono prima.
Effetti collaterali: danno dipendenza.

domenica 15 settembre 2013

La pipì di Sofy

Il volo per Palma di Majorca con scalo a Ibiza è pieno come solo i charter delle vacanze possono essere. Dal mio posto corridoio constato con soddisfazione che quest'anno, finalmente, non ho il solito vecchietto prostatico seduto accanto, quindi non dovrò alzarmi ogni dieci minuti per farlo andare in bagno, il padre con figlia adolescente che lo occupa mi sembra piuttosto sonnacchioso, lei scalpita perché non può usare il cellu ma immagino si rassegnerà. La maggior parte dei posti sono occupati da ragazzi ambosessi che hanno spuntato la settimana di fine estate a Ibiza con gli amici come regalo per la maturità appena ottenuta, ragazzine in microshorts e fanciulli con le mutande sporgenti dalla cintura dei calzoni. Due gemelli sono stati accompagnati fino al controllo documenti dai genitori e dal nonno, il padre orgoglioso con la faccia di chi ricorda le sue conquiste in Riviera e la mamma apprensiva, mi raccomando, sulle isole la sera si alza il vento, ricordatevi la felpina.. Il simmamma di risposta ricorda i tentennamenti vuoti dei cagnolini che si mettevano sulla cappelliera delle auto negli ormai preistorici anni '70. L'aria condizionata non ci surgela, l'aereo sosta tranquillo prima di dar forza ai motori e portarci in vacanza, finalmente.
All'improvviso, dal posto dietro al mio, si alza un urlo acuto e penetrante:
Sofy!!!! Facciamo pipì?????
Gli occupanti delle tre file immediatamente antecedenti e successive trasecolano spaventati, l'emissaria dell'urlo si ritiene in dovere di spiegare, con lo stesso tono di voce, che Sofy deve fare pipì ma non la vuol fare perché ha paura del bagno dell'aereo, la prima volta che l'ha usato era molto piccola, perché lei ha sempre viaggiato con la figlia da quando è nata e l'ha già portata in millemila posti bellissimi, ma il rumore che ha fatto lo scarico l'ha spaventata a morte. E mentre Sofy piagnucola che non vuol fare pipì lei la prende in braccio e intorta le hostess sulla necessità assoluta di usare il bagno anche se ancora non sarebbe concesso, perché Sofy rischia di farsi pipì addosso. Ovviamente nessuno ha la faccia tosta di chiederle perché Sofy non abbia espletato il suo bisogno impellente nell'oretta e passa durante la quale abbiamo aspettato l'imbarco, nel frattempo la pargola strepita e la mamma continua a pigolare è vero che questo bagno non fa rumore? E' vero che non fa "fluushh"? Adesso Sofy fa pipì, vero Sofy che facciamo pipì?
Si da per vinta dopo dieci minuti di tentativi e solo perché il volo deve decollare, si rassegna a sedersi e a ragguagliare i compagni di viaggio, nel raggio di tre file avanti e dietro, sul fatto che Sofy non fa pipì in aereo e che a momenti se la farà addosso. La sua vicina di posto, timidamente, prova a chiederle perché non le abbia fatto indossare un pannolino, ottenendo in cambio un altro quarto d'ora di squittii sul fatto che Sofy non lo voglia più usare perché è grande, lei ci ha provato per venti munuti a metterglielo ma non c'è proprio riuscita, Sofy ha tre anni ma un bel caratterino. Il papà di Sofy siede vicino al finestrino con la fissità nello sguardo tipica dell'ottuso (cit.) e si limita ad annuire ogni qualvolta la consorte gli indirizzi contro un veroamore???? a conferma delle affermazioni che fa.
L'aereo lascia Malpensa sotto il cielo grigio e sotto le chiacchere incessanti e trapananti della mamma di Sofy, che racconta a chiunque voglia, o non voglia, ascoltarla, dei fantastici viaggi che ha già fatto, di quanto siano sempre ignoranti e maleducati gli indigeni, della meraviglia dei servizi dei grandi tour operator e tutti ci chiediamo perché non se ne sia andata alle Galapagos a tediare le tartarughe invece che tormentare noi delle due settimane low-cost, io attendo ansiosa lo spegnersi del segnale delle cinture allacciate per cacciarmi le cuffiette dellìMp3 nelle orecchie e escluderla dal mio campo uditivo. Quando finalmente riesco a farlo respiro di sollievo e mi appresto a trascorrere tranquillamente l'ora di viaggio che resta senza sentire i suoi Sofyfacciamopipì? che strilla a intervalli di tre minuti l'uno dall'altro.
Purtroppo l'ora passa troppo veloce, si riaccende il segnale di allacciare le cinture perché stiamo per atterrare su Ibiza, spengo il lettore proprio mentre lei sta implorando l'hostess di farla provare un'ultima volta a portare Sofy in bagno. Sofy, lo dice anche la signorina che il bagno non fa rumore! E' vero che non fa flushhh? Adesso Sofy facciamo pipì! Dai Sofy che altrimenti te la fai addosso!!!
Stringo i denti pensando che mi servono solo altri venti minuti di pazienza e pregando che la formula roulette con la quale abbiamo acquistato la vacanza non me l'assegni come compagna di albergo, ma la legge di Murpy è in agguato.
Su Ibiza imperversa un violento temporale, che ci fa ballare come burattini e ritarderà di parecchio l'atterraggio.
Lei racconta imperterrita di quella volta che per andare alle Mauritius sentivano i tuoni esplodere fuori dai finestrini dell'aereo e venivano sbatacchiati a destra e a manca dai vuoti d'aria, veroamore? e quello annuisce senza cambiare mai espressione, ogni tre minuti pronuncia il suo Sofyfacciamopipì?!?!?!? nonostante si sia in fase di atterraggio e non ci si possa alzare, la sua vicina di posto cerca disperatamente di cambiare argomento, tu che lavoro fai? E fa l'errore peggiore della sua vita.
La mamma di Sofy è parrucchiera, e mentre io agghiaccio pensando alle povere orecchie delle tapine che capitano sotto le sue forbici lei si lancia in una disquisizione storica sull'invenzione dello Shatush e delle sue variazioni, che lei lo sa fare come va fatto, con i codini e il pennello e il colore giusto e il tempo di posa giusto e il fissaggio e le sfumature e che peste la colga o almeno una laringite, Dio ti prego, se capita al nostro albergo falle venire una bella laringite!
Emmemaxi mi guarda, sa che a me i temporali danno ansia quando loro sono in cielo e io in terra, figuriamoci adesso che siamo alla stessa altezza... Tutto bene, amore?
Io lo guardo con una di quelle espressioni che solo lui è in grado di capire, infatti capisce.
"Me lo ha ridotto in patè d'angullia" mormora sconfortato, il mio è in mousse, rispondo io.
Nel frattempo la mamma di Sofy ha avuto un'esaltante idea, e sta martellando le hostess perché la facciano scendere un attimo a Ibiza per far fare la pipì a Sofy! Non è possibile, le dicono quelle, siamo già in ritardo e non possiamo accumularne altro! Ma lei insiste, Sofy deve proprio fare pipì altrimenti se la farà sotto! Vi prego, è una vera e propria emergenza! Il bimbo della vicina mormora che ha la nausea, e ci credo, povero piccolo, l'abbiamo tutti e non per il temporale. Ecco, vedete? Anche lui deve scendere! Scendiamo un momento e poi risaliamo subito! Sono bambini e hanno assolutamente bisogno! Nemmeno che l'aeroporto di Ibiza fosse un autogrill.
Come Dio vuole, dopo un'ora di volteggi nell'attesa che il temporale si plachi, riusciamo ad atterrare. I ragazzi di Ibiza si precipitano fuori di corsa, se fanno in fretta riescono già ad andare al Pacha questa sera, la mamma di Sofy implora le hostess che almeno la facciano scendere che Sofy fa pipì un attimo sulla pista.
Noi siamo stremati, le hostess pure, l'assistente di terra che è salita sull'aereo si rende conto della situazione e, udite udite, porta con la sua auto di servizio Sofy e la mamma al terminal per liberarsi, finalmente, degli ettolitri di pipì.
I passeggeri rimasti a bordo esalano, contemporaneamente, un enorme sospiro di sollievo.
Dopo la discesa dei vacanzieri del Pacha saremo rimasti sì e no una quarantina, tutti concentrati nei posti davanti, le hostess chiedono gentilmente se venti di noi sono disposti a spostarsi in coda per garantire un migliore bilanciamento dell'aereo.
I dodici occupanti delle file davanti e dietro a quella di Sofy e di sua madre, Sbullonati compresi, come un sol'uomo alzano la mano urlando NOI!!!!!
E i venti minuti del volo da Ibiza a Palma, nonostante il temporale che ci inseguiva, mi sono sembrati i più tranquilli della mia vita.

Morale della favola: vi hanno detto che per ottenere ciò che si vuole bisogna essere pazienti, perseveranti, volenterosi. Mentivano.
In realtà bisogna scassare i cabasisi al prossimo fino a triturarli e prenderlo per stanchezza.

giovedì 12 settembre 2013

Nuovo autunno

Le vacanze sono finite, ne parlerò presto e vi tedierò con la pubblicazione di foto modello pizza e diapositive a casa di amici.
Ma adesso concedetemi un attimo intimo di commozione.
Emmegrande ha cominciato le medie.
Carico, entusiasta, felice che speriamo che duri.
E' in classe con uno dei suoi amici del cuore, in tre giorni si è fatto nuovi amici, adora il prof di lettere e questo mi fa ben sperare in un suo prossimo interesse per la lettura e la scrittura.
Mi sembra ieri il primo giorno
del nido,
della materna,
delle elementari.
Un cucciolo che sta crescendo, che scruta quotidianamente le ascelle per controllare se spunta qualche pelo, che cavoli, i suoi amici già sono irsuti e lui è implume e imberbe come un seienne, un nuovo interesse per le ragazze, quelle delle medie non sono gnegne come quelle delle elementari.
La tracotanza con cui scende di macchina non davanti alla scuola, giammai, ma davanti al supermercato dove si da appuntamento con due amici per andare insieme.
La telefonata dal suo nuovo - vecchio - cellulare con la quale mi avverte che mi aspetta davanti al chiosco con i soliti due soci.
Il tempo perso al mattino davanti all'armadio aperto, cosa mi metto oggi, che a volte penso che abbia bisogno di una consulenza con Enzo Miccio e Carla Gozzi, ma poi mi esce fuori gagarino e agghiaccio al solo pensiero.
Cresce, cavoli se cresce.
MA DA QUI A DIVENTARE ADULTO CE NE VUOLE!!!!
Quindi qualcuno lo avverta che se non la smette con quell'aria da uomo vissuto quando si rivolge a me gli spacco il muso.
Eccheccacchio.

domenica 25 agosto 2013

Pronti a partire

Bagagli: fatti. Misteriosamente fino allo scorso anno partivamo con due valige e due trolley, quest'anno nonostante l'aumentato ingombro dei vestiti dei bambini causa crescita spropositata i trolley si sono ridotti a uno. Aspetto di scoprire, una volta arrivati a Majorca, cosa ci siamo dimenticati di assolutamente indispensabile.
Casa: pulita, risporcata, ripulita, risporcata, ripulita e adesso è di nuovo un disastro. Ho deciso che la lascio com'è e domattina ci pensa il marito.
Gatta: in villeggiatura dalla signora del quinto piano, gattara storica del palazzo che è stata doverosamente informata su come gestire le crisi epilettiche della bestiola e diffidata dal nutrirla con qualcosa di diverso del cibo per gatti da noi fornito. Che poi non ce la faccio a mantenerla a filetto per il resto dell'anno.
Figli: in un parossismo di agitazione. Mi scuso fin d'ora con i tapini che li avranno come vicini in aereo.
Marito: invece pure. Ha già controllato millemila volte il terminal di partenza del volo, continua a essere Malpensa 1 ma ha ancora paura di sbagliare terminal.
Lavoro: -1. Ancora domani lavoro fino alla mezza ma, con l'inizio della scuola a orario ridotto che incombe e il Nonno SantoSubito in odor di doppio by-pass coronarico ogni giornata di ferie risparmiata è preziosa.

Detto questo saluto coloro che sono depressi per il rientro in città dopo le vacanze e mi appresto a partire.
Al prossimo nove settembre.

mercoledì 21 agosto 2013

Io la conoscevo bene

La prima volta che l'ho sentita nominare ero una bambina.
Mia nonna paterna, classe 1912 o giù di lì, dava per certo che abitasse in piazza a Peretola.
Ogni volta che la nominava l'uditorio si sperticava in grasse risate.
Poi sono cresciuta, e per un po' non ne ho più sentito parlare.
La professoressa di lettere delle prime due classi delle medie giurava che fosse una vicina di casa della madre, forse la madre abitava a Peretola, non mi è dato di saperlo. Ma ormai doveva avere i suoi anni.
Ne avevo persa qualunque traccia durante gli anni delle superiori, ma l'ho reincontrata in grande spolvero quando ho cominciato a lavorare.
Il collega della casa editrice per la quale vendevo enciclopedie porta a porta affermava di averle venduto una pubblicazione sull'erboristeria;
il commercialista dove facevo pratica di contabilità giurava di averle fatto la dichiarazione dei redditi;
il dirigente dell'impresa edile presso la quale ho lavorato per due anni le aveva venduto un appartamento, il presidente della stessa impresa, che era cancelliere civile in tribunale, sosteneva di aver avuto a che fare con una causa che la vedeva parte lesa;
la conosceva bene anche uno dei soci del centro elaborazione dati dove lavoravo prima di vincere il concorso;
al Ministero sostenevano che abitasse in provincia.
E, al solo pronunciare delle sue generalità tutti morivano dal ridere.
Quando mi sono sposata e sono venuta ad abitare a Torino credevo di essermene liberata.
Giammai, ormai ultracentenaria si era trasferita anche lei e mia suocera raccontava di quando le calcolava la busta paga di operaia della Grande Azienda Automobilistica.
Ovviamente ho lavorato con gente che aveva liquidato la sua pensione, ma non mi è mai capitata sotto mano la sua istanza per l'invalidità civile.
Credevo che fosse morta, ormai, ma appena ieri mi è stato giurato che figura nelle liste elettorali del comune.
Aspetto di conoscere il tipografo che stamperà il suo annuncio funebre e il marmista che, sghignazzando, le preparerà la lapide.
Ma evidentemente sono l'unica che non la conosce personalmente.
Mi rivolgo a chi legge perché a questo punto la curiosità mi attanaglia le viscere, se qualcuno ha una sua foto, un'immagine, un ritratto a china, olio, tempera, carboncino, acquerello o che altro me lo faccia avere, perché io devo vedere che faccia ha, visto che ormai da oltre 40 anni la sento nominare da tutti, tutti la conoscono, tutti hanno avuto a che fare con lei tranne me.
Cerco le prove dell'esistenza della Signora Domenica Melalavo coniugata Piazza.
Altrimenti conosciuta come Melalavo Domenica in Piazza.

P.s.: vanno bene anche immagini che certifichino inconfutabilmente l'esistenza dell'altra tapina meglio conosciuta come Rosa Culetto coniugata Vasino, alias Culetto Rosa in Vasino. Anche lei la conoscono in parecchi, a quanto sembra-

lunedì 19 agosto 2013

Cercare un senso nelle cose

Gamil abitava nei dintorni di El Fayum, ma lavorava come bagnino a Sharm el Sheik. Alto, bello, addominali scolpiti e capelli rasati. Esibiva con orgoglio un costumino anni '70 e la croce copta tatuata sul polso sinistro, quello del cuore.
Gamil adorava Emmepiccola, diceva che gli ricordava suo figlio che non vedeva da mesi, Emmepiccola ricambiava con entusiasmo, ogni volta che arrivava al bordo della piscina lo chiamava a gran voce, Gamiiiiiil!!!! e quello si liberava dalle turiste russe che pretendevano che spostasse loro il lettino ogni qualvolta il sole si muoveva e correva da lui. Lo faceva volare in alto, lo riprendeva al volo dai suoi tuffi spericolati in vasca, gli insegnava a nuotare a dorso. Quando lo abbiamo salutato alla fine delle vacanze era commosso e non voleva la mancia che volevamo lasciargli. Siete stati amici, non clienti.
Mohammed invece era mussulmano, veniva da un paese vicino Luxor e lavorava come barista a Marsa Alam. Che poi non ho mai capito cosa facciano i miei figli agli egiziani, ma alla fine anche da lui sono riusciti a farsi adorare. Magari è soltato perché io e Emmemaxi abbiamo insegnato loro che il personale dei resort non appartiene alla categoria degli schiavi ma dei lavoratori, e quindi le cose si chiedono educatamente, per favore, e si ringrazia dopo averle ottenute, che anche e soprattutto a loro sono obbligatori il buongiorno e la buonasera, che si deve rispettare il loro lavoro perché con il loro lavoro rendono piacevoli le nostre vacanze.
Comunque quando l'estate scorsa siamo andati a salutarlo perché eravamo in partenza ha chiamato i bambini dietro il banco del bar e li ha riempiti sottobanco di succhi di frutta in tetrabrick, nonostante il braccialetto dell'all-inclusive fosse stato rimosso da due ore.
Dovevamo partire martedì prossimo per Sharm, non sarà così.
E sono immensamente triste.
Ma non per la vacanza che non si farà, andremo da un'altra parte.
Io amo profondamente l'Egitto, è un Paese con il quale, per tante ragioni, il mio cuore è legato a doppio filo.
E adesso che vedo le immagini che arrivano da Il Cairo e riconosco quelle strade, quel ponte da cui la giornalista racconta di scontri, di sparatorie, di morti, di stragi, il mio cuore sanguina come se fosse sotto le pallottole.
E non riesco a trovare un senso a tutto questo, non riesco a concepire una democrazia imposta con le armi, non riesco a giustificare chi uccide in nome di qualunque Dio, la verità mi sembra una coperta così corta che da qualunque parte la tiri ti lascia i piedi scoperti.
Provo un enorme schifo nei confronti dei miei connazionali che si lamentano e si incazzano perché la loro vacanza "è rovinata", come puoi pensare che sia vacanza quando a poche centinaia di chilometri la gente muore?
Emmegrande sta aspettando da sabato che il suo amico Elshra, compagno di classe che trascorre l'estate a Il Cairo con i nonni, risponda al messaggio che gli ha inviato per sapere se è tutto a posto. Io cerco di tranquillizzarlo, probabilmente ci sono problemi con la linea o non avrà portato il cellulare in Egitto, vedrai che al primo giorno di scuola lo ritroverai senza alcun danno, ma anche io temo per lui, per le sorellina piccola e i suoi codini buffi e per la sorella grande, che ha scelto di non portare il velo e quest'anno deve cominciare le superiori, per la loro mamma che si annoda il velo in maniera vezzosa e indossa le t-shirt di hallo kitty. E per il loro papà, che non va mai con loro perché lavora per tutta l'estate e magari li sta aspettando.
L'unica cosa che mi consola è che Gamil, a El Fayum, e Mohammed nel suo paesino vicino Luxor non dovrebbero trovarsi sui fronti opposti della stessa barricata.
Ma piango per tutti i Gamil e tutti i Mohammed che non torneranno più a lavorare per noi nei resort.
Risorgi, Egitto.

giovedì 15 agosto 2013

Co' 'a pummarola ' coppa.

Nella mia famiglia di origine il rito della salsa di pomodoro ha radici antiche.
La Nonna Sbullonata già dalla metà di luglio perlustra i mercati e i supermercati a caccia dei pomodori San Marzano migliori, valutando attentamente il rapporto qualità prezzo e il grado di maturazione.
Poi ingaggia una vicina di casa automunita per l'approvvigionamento e torna a casa con una decina di cassette, a questo punto entra in scena la Zia Quicquia che immediatamente critica l'acquisto in quanto i pomodori sono
  • troppo piccoli;
  • troppo grandi;
  • poco maturi;
  • troppo maturi.
Seguono un paio d'ore di lite tra le due che si concludono con l'affermazione perentoria della zia "Si vedrà cosa ne esce di buono!".
Il giorno dopo le due si trasformano in stregonesse estraendo da chissà dove un enorme pentolone di alluminio dove per ore sobbolle la misteriosa miscela con una sorella a turno che la rimesta con il cucchiaio di legno lungo ottanta centimetri.
Quando la cottura della mistura viene ritenuta adeguata le due estraggono ancora un misterioso marchingegno, il fantomatico "passapomodoro" che riesce pure a separare le bucce e i semi dalla polpa e cominciano a ridurre il tutto in purea che poi versano religiosamente negli appositi barattoli.
L'operazione di sterilizzazione in pentoloni di acqua bollente chiude il tutto, lasciando le due stremate in una cucina invasa da barattoli rossi, e alla fine della giornata, come ogni anno, annunciano ufficialmente che sarà l'ultima volta, che dal prossimo anno andrà benissimo quella del super che non ha mai ammazzato nessuno.
Tanto sanno che non è vero, entrambe non riescono a mangiare altro che QUELLA salsa di pomodoro, qualunque altra verrà considerata troppo pallida o troppo rossa, troppo dolce o troppo acida, troppo o poco di qualunque cosa.
Avendo vissuto per 35 anni tutta la manfrina avevo giurato e spergiurato che mai nella mia vita, la salsa di pomodoro la si fa al momento in padella, un po' di aglio, un po' di basilico, un po' di peperoncino e va benissimo. Ovviamente le due non sono d'accordo, e ogni anno mi foraggiano di barattoli perché i loro preziosi nipoti non vadano incontro a infezioni intestinali mangiando la salsa che cucino io.
Orbene, quest'anno un collega di Emmemaxi si è dato all'agricoltura e a quanto sembra si è rivelato uno specialista nella coltivazione del pomodoro San Marzano. Da una settimana e oltre il marito torna a casa con un sacchetto di pomodori appena colti. I San Marzano sono i miei preferiti anche in insalata, ma quando hanno riempito il cassetto della verdura e hanno invaso i ripiani del frigo ho capito che era giunto il momento di rimangiarmi il giuramento e cimentarmi nella preparazione della salsa. Doverosamente istruita dalla Nonna Sbullonata per telefono, e dopo una successiva chiamata della Zia Quicqua che mi ha detto come vanno "veramente" fatte le cose, complice un ozioso ferragosto cittadino mi sono messa all'opera.

Ricetta della salsa di pomodoro sbullonata

Le dosi sono rigorosamente empiriche.
Il pentolone usato è una pastaiola da cinque l., ovviamente senza il colapasta.
Pulite e pelate quattro carote medie, tre gambi di sedano,
una cipolla bianca grande,
foglie di basilico a piacere.
Fate a pezzi grossolani la verdura e qualche pomodoro,
bagnate con poco olio e.v.o. e un po' d'acqua,
lasciare ammorbidire a fuoco basso per una ventina di minuti,
aggiungere il resto dei pomodori a pezzi, una presa di sale
e un cucchiaino di zucchero.
Fate prendere bollore e abbassate il fuoco.
Disponetevi a una lunga attesa mentre le verdure cuociono,
i pomodori si disfano,
l'acqua di vegetazione è quasi completamente assorbita.

E fino qua tutto bene, mi sono pure fatta la manicure mentre aspettavo. I dolori sono cominciati quando è arrivato il momento di passare il tutto. No, noi non abbiamo la macchina miracolosa che scarta le bucce e i semi e riduce tutto il poltiglia. Ho avuto la malaugurata idea di utilizzare il robot da cucina, nello specifico la lama per fare le verdure alla julienne. Ne abbiamo ottenuto pochi cl di acqua rossa e un budino al pomodoro e verdure che non passava dalla lama.
Abbiamo rimescolato il tutto e siamo ricorsi al vecchio passatutto, il marito ha lavorato di muscoli e pazienza finché non ha ottenuto la salsa.
A quel punto la cucina sembrava il set di un film di Quentin Tarantino, la gatta si era nascosta sotto il letto e noi avevamo deciso che d'ora in poi solo pasta in bianco.
Ho riempito i barattoli aggiungendo ancora un paio di foglie di basilico fresco, li ho avvolti in panni puliti e fatti bollire per 40' coperti d'acqua fino a un paio di cm. sopra il coperchio.
Due sono stati recidivi e li ho dovuti bollire per due volte, non ne volevano sapere di fare il famoso "clack" che sigilla il tutto.
Alla fine di una dura giornata di lavoro e sudore questo è il risultato
Sei succulenti barattoli di salsa assolutamente genuina e home-made.
Sei barattoli, una giornata di lavoro.
Sei barattoli.
Stremata sul divano annuncio che questa è l'ultima volta, dal prossimo anno andrà benissimo quella del super che non ha mai ammazzato nessuno.

lunedì 12 agosto 2013

Alta stagione (cinquecentosessanta)

Ferve l'alta stagione, nella Ridente Cittadina Costiera.
Godzilla, la bagnina, è il piena attività, smazza ombrelloni come fossero tris a poker, viaggia tra le file di lettine con il nipotino di un anno in braccio, raccogliendo complimenti con la stessa aria che avrebbe la cara vecchia Liz se decidesse di portare il royalbaby al parco.
Gli ambulanti espongono vestiti etnici di dubbia provenienza, occhiali da sole raybanoriginalidavvero, borse taroccate e bigiotteria fatta-a-mano-dalle-donne-del-loro-villaggio insieme a chiostre di denti candidi e accavallati, amico non ti posso fare lo sconto, lo pago io questa cifra!
A intervalli regolari passa coccobello, seguito dal venditore di bomboloni, mesi trascorsi a prepararsi per la prova costume naufragano miseramente nell'odore di crema pasticcera e di fritto.
Niente pallone sulla spiaggia, niente freesbe, niente racchettoni, se volete giocare andate dagli sfigati della spiaggia libera.
Al "Gommapiuma" per cinque euro puoi buttare tuo figlio sui gonfiabili e lasciarlo rimbalzare finché si stanca, gli adulti si litigano le poche sedie disponibili oppure litigano con il gestore che ha l'assurda pretesa di non lasciare che si fumi all'interno dell'area giochi. Ecchecazzo, nemmeno più all'aperto? Sembra di essere in galera!
Negli appositi spazi fioriscono manifesti come aiole colorate:
- Al dancing serata revival anni '80;
- Giornata in battello alle Cinque Terre, visita e fritto misto di pesce, rientro alle 19.00, adulti 35 €, bambini da due a undici anni 20 €, bambini sotto i due anni gratis;
- Vi aspettiamo alla sagra della panzanella;
del tordello;
della pattona;
della polenta ficca;
ballo liscio e karaoke tutte le sere.
Piccolo piccolo e semi coperto da uno sfacciato annuncio che promette "fresco e niente zanzare alla sagra del panigaccio" un manifesto che invita a ricordare.
Ma cosa volete farci ricordare? E' quasi ferragosto, siamo in vacanza. Riposo, relax, divertimento, ricchi premi e cotillon.
La politica lasciamola perdere se non per quei discorsi qualunquisti tra vicini di ombrellone, tanto son tutti uguali e son tutti ladri, anche per quest'anno ci hanno lasciato i soldi per la settimana in albergo a due stelle, il prossimo anno si vedrà.
Il campionato ricomincia il 25, se torniamo il giorno prima facciamo in tempo ad andare allo stadio.
Non abbiamo voglia, non abbiamo tempo, non abbiamo memoria.
Pochi chilometri più in collina, dove il mare lo si vede da lontano e ancora sembra bello e pulito, senza il riflesso rossiccio delle alghe portate a riva dalla burrasca della settimana scorsa c'è Sant'Anna, che oggi piange da 69 anni cinquecentosessanta suoi figli.
Una strage impunita, archiviata come una "normale azione di rappresaglia". Cinquecentosessanta morti ammazzati senza colpa e senza giustizia.
Dimenticate per un attimo di essere in alta stagione, e concedetevi il tempo per ricordarli.
I loro nomi sono qui.

mercoledì 7 agosto 2013

Cultura e cul tura

Brunetta dixit:
"Un buon motivo per non andare all'inferno è l'idea di trovarci Benigni che ripete la sua solfa uccidendo Dante anche là."
Ipotesi n° 1: Brunetta non sa chi sia Dante, probabilmente pensa che sia il gatto che il settenne Benigni stese durante una scorribanda in bicicletta (notizia non suffragata da prove storiche)
Ipotesi n° 2: Brunetta teme la diffusione della cultura.
Tesi atta a suffragare la seconda ipotesi.
Fino all'abolizione della schiavitù era proibito ai neri americani l'apprendimento della lettura e della scrittura. Anche successivamente si è cercato di impedire loro l'accesso al sistema scolastico sia pubblico che privato. Una persona istruita, colta, capace di leggere e interpretare correttamente è pericolosa, perché prima o poi verrà a conoscenza dei propri diritti e scoprirà quali sono i mezzi per ottenerli, le sedi opportune per rivendicarli, la dialettica per non farsi fregare.
Diffamando la cultura si cerca di allontanarla dalla persona comune, che cercherà svago nei programmi televisivi popolati di topone e tronisti appitonandosi completamente il cervello.
Una volta ottenuta questa lobotomia mediatica il cittadino sarà completamente asservito ai politici, malleabile come creta e gli si potrà far credere qualunque cosa, tipo che Cristo è morto dal sonno.
Una persona ignorante, dalla scarsa comprensione e dall'eloquio povero non potrà mai fare alcunché se non poltrire davanti alla tv in un circolo vizioso infinito, abbrutendosi e riducendosi incapace di discorsi comprensibili e pensieri coerenti.
Obiezione.
Calderoli, La Russa, Scilipoti, Brunetta, the Bossi family nonostante siano palesemente ignoranti e abbrutiti hanno fatto una folgorante carriera.
Concluisione.
Come al solito ho capito un'emerita cippa. 

domenica 4 agosto 2013

La graziella gialla

Ogni anno è la stessa storia.
Arriviamo ai primi di agosto stanchi, nervosi, aggressivi per il caldo e i tentativi di far combaciare orari di lavoro e del centro estivo fino a che non andiamo a portare i bambini al mare.
Fine settimana tutti insieme nella Ridente Cittadina Costiera, nella casa che fu dei genitori del Nonno SantoSubito e prima di ripartire sganciamo uno dei due Emme dalle Nonne che sono in vacanza nel lido vicino. Il fine settimana dopo si replica cambiando gli Emme.
E io che sogno la casa vuota, senza carte di Yu-gi-oh tra i  piedi, senza vestiti e scarpe da raccogliere dai posti più disparati, senza cartoon o Mtv che urlano dallo schermo e poi mi ritrovo a condividere una stanza con la gatta e mi sento improvvisamente sola.
E un pochino triste.
In più questa volta si è aggiunto un piccolo magone in più.
Già, cara NonnaBionda, è "colpa" tua. Di questi giorni sono cinque anni che te ne sei andata, del resto una che amava viaggiare come te non poteva organizzare la sua più grande partenza che nei giorni del grande esodo di massa. E te ne sei andata continuando a fare progetti per il futuro, per le cure termali a settembre e per la scuola di Emmegrande che sarebbe cominciata di lì a poco.
Che i tuoi nipoti li hai sempre adorati, ma il maggiore era più tuo dell'altro, ridendo dicevamo sempre che ne avevo fatto uno per te e uno per tuo mariito. E ridevo, ma questa storia mi ha sempre fatto un po' incazzare, non sopportavo che tu pretendessi di dirmi come dovevo crescere mio figlio, che mentre io lo sgridavo per qualche monelleria tu continuassi ad abbracciarlo e baciarlo sotto i miei occhi. Così come probabilmente tu hai mal sopportato la mia cialtroneria e la mia ruvidezza, tu che eri una Signora con la maiuscola, sempre inappuntabile, perfettamente vestita e pettinata e truccata, con la casa sempre in ordine.
Ma ci volevamo bene e ci siamo fatte anche delle belle risate, delle belle confidenze, ognuna con le nostre diversità, con le nostre arrabbiature ma con la consapevolezza del nostro affetto reciproco.
E poi lo hai sempre saputo che adoro tuo figlio, che per i bambini darei la vita, che comunque ce l'ho sempre messa tutta.
Emmegrande, ancora adesso, a volte apre l'armadio e caccia il naso nella tua pelliccia, che tuo marito ha voluto che prendessi io e che avrò iindossato sì e no due volte, durante le ondate di neve e freddo polare. Dice che sa odore di nonna.
A te stava bene, io con quel pelo addosso sembro un'orsa goffa e sgraziata.
La casa del mare ha ancora lo stesso odore, nei cassetti, nei centrini sui comodini, nel maglione che ti avevo regalato e che è ancora nel primo cassetto, nelle boccette di smalto per le unghie ormai raggrumato che sono in bagno.
E nella graziella gialla che usavi per andare al mare, sfidando impavida il viale principale.
Dall'ombrellone del vecchio bagno ti vedevamo che l'assicuravi con la catena al parcheggio e scommettevamo quanto ci avresti messo ad arrivare, mezz'ora o più perché ti dovevi fermare ad ogni ombrellone, ad ogni sdraio, a salutare, a cianciare, a curiosare, a fare la "psicologa da spiaggia" come diceva tuo figlio.
Ecco, quella graziella gialla da quest'estate la usa Emmegrande, orgoglioso e fiero di poggiare i piedi su quei pedali, fa un casino micidiale con i freni ma è diventato così grande che va bene per lui.
E quando arriva sulla spiaggia impiega esattamente lo stesso tempo che impiegavi tu per raggiungere l'ombrellone, prima i sono le soste al ping pong, al calcio balilla, al campo da calcio, all'ombrellone dell'amico...
E mentre lo vedevo incedere veloce sulla ciclabile pensavo a quando ne saresti orgogliosa, e ho dato la colpa della lacrima che mi è scesa all'acqua di mare negli occhi.

domenica 28 luglio 2013

I bimbi crescono - e le Sbullonate imbiancano.

No, non parlo dei miei bimbi. Parlo dei "Bimbi" con la b maiuscola.
Eravamo fidanzati da un paio di mesi quando il mio futuro marito decise che ero pronta per essere presentata ai Bimbi.
I Bimbi sono i cugini di mio marito, figli del fratello di sua madre, lo Zio Artista, e della Zia Lilli, che ne ha cresciuti ben sette riuscendo a mantenere una calma invidiabile e senza mai alzare la voce con uno di loro. Il quarto di loro purtroppo non l'ho mai conosciuto, se ne è andato a 16 anni all'improvviso, dopo un pomeriggio di giochi con i fratelli, strappato alla sua famiglia da una cardiopatia congenita e da un'ambulanza arrivata troppo tardi.
Quando li ho conosciuti erano già in sei, il più grande aveva 21 anni e la più piccola, figlioccia di Emmemaxi, solo 9.
Ricordo con terrore quando me li trovai schierati davanti a me, seduta all'enorme tavolo che usano per i loro sempre affollati pasti, in fila in ordine di età, curiosi come scimmie di conoscere la nuova fidanzata del cuginone. Avevano eletto il maggiore come portavoce, fui sottoposta a un fuoco di fila di domande e, una volta appurato che non sembravo in grado di nuocere decisero che potevo andare e mi accettarono come parte integrante della loro famiglia.
Per me andare a trovare i Bimbi è sempre stato motivo di gioia e lo è diventato anche per gli Emmedue, che adorano i loro prozii e i loro biscugini, adesso il più grande ha 35 anni e la minore ne ha 23, ma continuano a essere i Bimbi, pronti a giocare a calcio, acchiappare girini e costruire condominii in lego, anche se tra di loro ormai si vantano un paio di ingegnerii, un architetto, un artista del restauro conservativo, un'insegnante di ruolo nella scuola materna specializzata nel sostegno a bambini autistici e una ragioniera che parla correttamente un tot di lingue.
Il tavolo della cucina ha continuato a ospitare pranzi affollati, ma da qualche anno non ospita gli amichetti di scuola o di scout ma fidanzati e fidanzate, qualcuno è stato in transito, qualche altro si è fermato.
Ieri si è celebrato il primo matrimonio dei Bimbi, in realtà si è sposato il terzo in ordine di apparizione, il primo è uno scapolone impenitente o quasi e il secondo convive con la fidanza storica, prima o poi si sposerà ma non hanno molta fretta.
E devo dire una cosa, quando l'ho visto tutto in ghingeri attendere la sposa all'altare e me lo sono ricordato quando l'ho incontrato per la prima volta, con una luce furba negli occhi quasi da orientale e la mania per l'ordine - moglie del cugino, hai un marito che a 15 anni si puliva la scrivania con il glassex dopo aver fatto i compiti, non sai che fortuna hai! - ho nascosto una lacrimuccia dietro al ventaglio opportunamente fornito per sopravvivere a quel fetentone di Caronte che picchiava di brutto.
E io ai matrimoni non mi commuovo quasi mai.
Quasi.

P.s. Poi, ovviamente, mi son ripresa e al pomeriggio sono andata con la Zia Lilli a fare il sacco nel letto degli sposi e a nascondere un po' di sveglie puntate a ore diverse nella casetta della coppia. Volevo mettere anche i girini nella vasca da bagno ma le neo suocera me lo ha impedito.

P.P.s. La Zia Lilli, mossa a compassione, ha tolto tutte le sveglie meno una che ha dimenticato, solo che si è dimenticata di togliere le suonerie e in piena notte si sono svegliati tutti, tranne gli sposi.

venerdì 19 luglio 2013

Ho un dubbio

Se io prendo un finanziamento e salto anche solo una rata me lo revocano immediatamente. Successivamente non riuscirò ad ottenerne un altro nemmeno se morissi di fame. Sono stata inadempiente e perdo un beneficio.
Se ho un'auto, una moto, un autocarro, un trabiccolo a motore qualsiasi e non pago il bollo prima mi invitano gentilmente a farlo, se non ottemperano parte un bel fermo amministrativo e col trabiccolo a motore posso farci una fioriera, perché se non saldo il debito non posso neppure venderlo. Sono stata inadempiente e perdo un beneficio.
Se mi chiamo Domenico Dolce o Stefano Gabbana e non pago le tasse non dovrei poter avere spazio all'Expo, sono stata inadempiente e perdo un beneficio.
E quelli si indignano.
E altri danno loro ragione.
Mi viene il dubbio che lo facciano perché si chiamano Dolce e Gabbana, si chiamassero Pulce e Poiana (cit.) nessuno prenderebbe le loro parti.
Ma loro si indignano.
Sticazzi.
Poi ci incazziamo con gli extracomunitari che "portano la delinquenza".
A quanto sembra mal tolleriamo la concorrenza, visto che noi la vogliamo pure esporre e esportare.

Ah sì. Quello che dicono di essere di sinistra hanno votato la fiducia ad Alfano. E sono gli stessi che hanno criticato coloro che hanno fatto finta di credere che Ruby fosse la nipote di Mubarak. Son mica tanto diversi.

giovedì 18 luglio 2013

Io non sono nervosa

Io non mi sveglio quasi mai di cattivo umore. Anche perché prima di capire chi sono, dove sono e cosa faccio di solito si è fatto mezzogiorno. Però nella prima ora dopo la sveglia c'è il pilota automatico che mi fa alzare, lavare, vestire, truccare, svegliare i pupi, urlare loro di alzarsi-lavarsi-vestirsi. Nel frattempo preparo la colazione, controllo gli zaini per la scuola o per il centro estivo, dirimo un paio di controversie mattutine tra i due, nutro la gatta, raccatto panni sparsi per casa urlando che non sono la serva di nessuno. Quando sono di corveé mattutina per accompagnarli punto la sveglia alle 06.15, li sveglio alle 06.45 e di solito per le 07.20 siamo fuori di casa. Meccanismo rodato, strampalato ma efficace.
Talvolta ho bisogno dell'auto e allora, anche se il marito è di turno pomeridiano, li accompagno comunquue io.
Emmemaxi mi dice, ogni sera, di puntare pure la sveglia più tardi, tanto con i bambini mi aiuta lui.
Anche lui ha un meccanismo rodato che lo porta inevitabilmente a fare tardi.
Questa mattina era una di quelle in cui avevo bisogno dell'auto.
Ho messo la sveglia alle 06.45, mi sono alzata e ho cominciato a prepararmi.
La teoria è che anche gli uomini si sarebbero dovuti alzare, far colazione e prepararsi.
Infatti ho sentito il consorte che chiamava la prole: bambini.... è ora!
E lo ha detto per diverse volte, fin quando, alle sette precise, l'ho sentito inveire Emmegrande, adesso basta! Ti ho detto di alzarti!
A quel punto ho capito che la tabella di marcia si era già inceppata. Sono uscita dal bagno in mutande e con il sapone sotto le ascelle strepitando che se il figliolo non si fosse alzato subito lo avrei fatto scendere dal letto a suon di scappellotti.
Il recalcitante pargolo ha raggiunto la cucina dove il marito aveva preparato la colazione, io ho terminato l'operazione lavaggio e cominciato quella vestizione.
Ero appena passata alla fase tre, quella del trucco, quando Emmegrande è piombato in bagno mostrandomi il dito anulare della mano sinistra con aria costernata.
Da classico maschio italico sta facendo delle piste allucinanti per un giradito, una di quelle cose che di solito si curano con un paio di accidenti e che lui pretende di guarire con bendaggi da mummia e pomate antibiotiche.
Devo mettere qualcosa su questo dito, mi fa un male terrrrrrribbbbbbbile! 
Urlo al marito di dare un'occhiata al dito malato, nel frattempo cerco di incipriarmi ma il marito, con la ciotola del caffellatte dinanzi e la tv sintonizzata su RaiNews 24 non da segni di aver inteso. Intanto il figlio sta mettendo a soqquadro il cassetto dei medicinali per cercare bende abbastanza lunghe per la medicazione.
Cazzoooooo!!!!!!!!! Ti avevo chiesto di dare un'occhiata, ma mi hai sentito?
Eh, credevo venisse in cucina a farsi vedere!
Comunque il dito viene incerottato, io mi trucco un occhio e nel frattempo, nel mare di nebbia che costituisce il mio campo visivo quando sono senza occhiali, vedo passare una strana figura imbacuccata.
Piove, ai ragazzini è stato detto di mettersi le giacche prima di uscire, ma Emmepiccola ha indossato pantaloni di felpa, giacchetto di pile ma, soprattutto, LA MAGLIETTA BELLA CHE DEVE INDOSSARE PER IL MATRIMONIO DEL CUGINO!!!!
Spogliati immediatamente!!!!!! E metti a posto quella roba!!!!!
Cazzo amore, al mattino sei sempre nervosa!

Ho il sacrosanto diritto di sentirmi incompresa, nevvero?

mercoledì 10 luglio 2013

Breve prontuario a uso del gentile utente

Gentile Utente,
nell'attesa di sapere se apriremo degli sportelli appositi per te stiamo continuando a sentirci per telefono. La maggior parte delle volte vuoi sapere dove spedire il modulo compilato. Genericamente mi limito a dare l'indirizzo corretto e a raccomandarmi di non dimenticare nessuna parte del modulo stesso, dovessi dirti tutto quello che ritengo giusto probabilmente di azzererei la ricarica del cellulare.
Allora mi permetto di stilare un piccolo prontuario che sarebbe opportuno seguire quando si invia della documentazione per posta, in modo da renderci reciprocamente la vita più facile.
Perché, lasciatelo dire, ho l'impressione che ti piaccia complicartela assai:
  1. Il modulo lo si compila in ogni sua parte. Se ti chiedo l'indirizzo è perché mi serve, se ti chiedo la targa del mezzo è perché ne ho bisogno, il codice fiscale è lungo e tedioso da compilare ma ne ho necessità. Non vale l'escamotage "vedi mittente sulla busta". A parte il fatto che avresti fatto prima a scrivere via e numero civico, oltretutto a volte le buste arrivano con gli adesivi delle ricevute di ritorno, della bollatrice dell'ufficio postale e il mittente non si legge per niente;
  2. Se non usi il modulo prestampato ma scrivi in carta libera la tua domanda sappi che esistono fogli più grandi di un post it, che devo comunque cercare di capire chi sei e cosa vuoi quindi i dati anagrafici sono comunque utili, che non leggo né l'arabo né il cinese, tanto meno la scrittura cuneiforme, quindi, ti prego, se non sei dotato autonomamente di bella grafia fatti aiutare da qualcuno;
  3. Se qualcuno ti chiede un'integrazione della documentazione non rispondere con una busta contentente una fotocopia di un libretto senza alcuna lettera di accompagnamento, perché per tutte le pratiche che seguiamo ci serve il libretto e quindi il tuo documento girerà per mesi per uffici fino a quando non si troverà a chi serve, idem se nella lettera di accompagnamento scrivi "come da Lei richiesto". Siamo in 25, al telefono ci presentiamo con nome e cognome e nessuno si chiama Lei;
  4. La carta da dentro la busta non scappa. E' quindi perfettamente inutile sigillarla con metodi da Art Attack: ettolitri di colla vinilica, chilometri di nastro adesivo, collane di punti fatte con la pinzatrice. Ci metto tre ore ad aprire una busta e alla fine il contenuto ne esce quasi sempre danneggiato;
  5. Quando devi mandare diversi fogli di carta sei pregato di piegarli tutti insieme in un plico unico. Sette fogli piegati uno a zig zag, uno per le linee perpendicolari, uno a fisarmonica e quattro a origami necessitano di un sacco di tempo per essere sbrogliati, letti e impilati nell'ordine giusto;
  6. I bolli auto e i tagliandini delle assicurazioni non devono essere necessariamente a grandezza naturale. Evita pure di ritagliarli lungo i bordi e di infilare in busta due francobolli volatili che spariscono dentro le buste e non si ritrovano più;
  7. Sarebbe carino anche se la smettessi di cacciare i fogli di cui sopra, magari piegati in ordine sparso, nelle buste dei biglietti da visita;
  8. Se non sai cosa significa un termine potresti usare uno di quei cosi chiamati dizionari. Vanno bene sia quelli di carta che quelli in rete. Eviteresti di fare figuracce del tipo "Nome e Cognome: Pinco Pallino - In alternativa ragione o denominazione sociale: SPOSATO".
Come vedi, gentile utente, non sono regole particolarmente difficili da seguire, basta un minimo di senso logico e un po' d'impegno. Mi eviteresti di soccombere sotto quintali di cartaccia e il lavoro scorrerebbe più veloce. Che finché si tratta di una lettera ogni tanto potrei soprassedere, ma quando ogni giorno arrivano circa 200 lettere e io, per 180 volte, mi trovo a litigare con la colla vinilica, a inseguire francobolli di fotocopie, a spianare origami di documenti e a cercare disperatamente di imparare l'arabo per capire cosa vuoi, credici, son cavoli.
Ti saluto distintamente e, quando imbusti, non correre: pensa a me!

domenica 7 luglio 2013

Ogni promessa è un debito

I figli sono in pieno delirio rap-hop-hop-freestyle.
Tutto cominciò un paio d'anni orsono, con Emmegrande che scoprì Fabri Fibra e comiciò a viaggiare con l'emmepitre attaccato alle orecchie canticchiando incessantemente Rap Futiristico. Emmepiccola lo seguì a ruota.
Sono passati indenni attraverso le ondate di One Direction e Justin Bieber schifandoli anche un pochino, roba da ragazzini, tuonano dall'altezza dei loro undici e quasi sette anni. Loro sono uomini, non hanno tempo da perdere dietro a questi fenomeni commerciali creati a tavolino dalle case discografiche (Emmegrande dixit).
A primavera è arrivato il momento di Fedez, e da allora viaggiamo a ritmo di Faccio brutto (ho il ferro sotto la mia tuta da ginnastica - e rime taglienti come le posate in plastica) e Tutto il contrario (E non è vero che hanno ucciso Aldo Moro,aveva solo la camicia sporca di pomodoro) fino al delirio di Cigno nero, per la quale mi costringono a sostenere la parte di Francesca Michelin che flauta la lacrima che brucia il vento la consuma, il nero che mi sporca tanto poi si lava...
E va beh, sono tappe della crescita. Io all'età di Emmegrande impazzivo per Miguel Bosé che si affacciava alla ribalta in jeans aderenti, maglietta bianca e caschetto biondo cantando "Anna". In prima media presi ottimo in inglese perché avevo imparato a memoria tutte le sue canzoni: Anna! How hard is to love you, Anna, I'll never forget you... Quando ho scoperto che Bosé è omosessuale ho avuto un trauma retroattivo.
Un paio di mesi fa, i faccini teneramente imploranti, mi chiedono di promettere che quando Fedez fosse venuto a Torino io li avrei portati al concerto.
Ero stanca, distratta, indaffarata. Ho detto sì, purché avessero avuto buoni voti in pagella.
Mica lo immaginavo che c'era un concerto in programma il cinque luglio.
Le pagelle sono state più che buone, ligia alla promessa e vergognandomi un pochino sono andata al box office a comprare i biglietti. 
Emmemaxi è entrato immediatamente in mood uomo ansia: ai concerti dei rapper c'è pieno di tossici e delinquenti, Emmepiccola non ha ancora sette anni, è troppo presto per buttarlo nella bolgia. Si è calmato solo dopo che ha scoperto che la maggior parte dei fans di Fedez non ha ancora finito la terza media.
Infatti venerdì il pubblico era composto in buona parte da ragazzine appena uscite dalla scuola secondaria iin piena crisi ormonale e da un nutrito gruppo di scolari della quinta elementare, tra i quali i soci storici di mio figlio. Il resto erano genitori dall'aria perplessa che si spiavano ansiosamente con l'aria di chi vuol far capire che si è li esclusivamente per fare un favore alla prole, anche se quando il cantante si è presentato sul palco a torso nudo ho visto diverse paia di occhiali materni appannarsi improvvisamente.
Reduce dal concerto dei Muse ero preparata al peggio, ma devo dire che il ragazzino non ha dei brutti testi e che comunque sa come si tiene un palcoscenico. E poi a me l'hip hop piace non poco, ho una passione per gli Articolo 31 e per JAx dai tempi di Maria Maria. 
E comunque ne valeva la pena, anche solo per vedere queste facce così assurdamente felici:

quello sotto a Emmepiccola è Emmemaxi, assunto come piedistallo privilegiato per il pargoletto altrimenti sovrastato dal resto delle 5000 circa persone presenti.
 
Da qualche parte dovevano comunque cominciare, evidentemente sono bestiacce da concerti come mammà. D'ora in poi so chi portarmi dietro quando ci sono quelli che mi interessano.