mercoledì 19 marzo 2014

Primavera sul 4

Il 4 delle 7.40 è meno pieno del solito, oggi pomeriggio è previsto lo sciopero dei mezzi pubblici e molti  si spostano in automobile. La panchina nello snodo ha due posti occupati e due liberi, mi siedo e comincio a leggere. I due ragazzi accanto a me parlano fitto fitto a voce bassa, i volti vicinissimi, gli occhi negli occhi, le bocche sorridenti. Alla fermata successiva sale la classica vecchiaccia da tram, ingombrante, cotonata-pittata-schifata. Si alzano contemporaneamente per cederle il posto, lei si siede e loro rimangono in piedi, entrambi. Si capisce che non vogliono stare divisi neppure per qualche fermata di tram.
E continuano a guardarsi negli occhi con tutta la luce di questa mattinata che anticipa la primavera, continuano a parlare fitto fitto nell'eterno linguaggio delle persone innamorate, sorridono, ridacchiano di sciocchezze.
Poi, è un momento, un battito di ciglia, e una mano scivola nell'altra. Una mano dalle unghie smangiucchiate ma provocatoriamente smaltate di nero, l'altra sottile, esile, pallida.
Mi ricorda una farfalla, forse una libellula.
Con un gesto forte e delicato stringe l'altra mano.
La vecchiaccia guarda la scena, guarda me, arriccia il labbrino dipinto di rosa corallo e sentenzia che ai suoi tempi certo schifo non si vedeva.
Dovevano essere ben tristi i suoi tempi, rispondo io.
Le mi guarda ancora, sorpresa e sdegnata, e tace.
Loro non si sono accorti di niente, ridono di qualcosa che sanno solo loro.
Io li guardo, con lo sguardo di solidarietà che le persone innamorate riservano a chi è come loro, penso alla mano di mio marito che cerca la mia quando camminiamo per strada, o per una stretta fugace al semaforo rosso.
Loro sentono il peso del mio sguardo, la mano con le unghie smaltate fa per ritrarsi, ma l'altra continua a stringerla e io continuo a sorridere, allora mi sorridono anche loro.
E tenetevele strette quelle mani, oggi e per sempre, e conservate quella luce negli occhi.
Continuate a farvi discorsi scemi e senza senso su tutti i tram e su tutte le strade del mondo.
E chi cazzo se ne frega se magari vi chiamate Luigi e Filippo.
O Claudio e Simone.
O come cavolo vi chiamate.

venerdì 14 marzo 2014

Da donna a donna

Mentirei se non ammettessi che quando ho sentito la notizia ho pensato che alla fine ben ti sta.
Ma la prima reazione è stata istintiva, poi ci ho ragionato sopra, e alla fine non sta bene per niente, nemmeno a te.
Perché nessun essere umano dovrebbe essere umiliato, nemmeno quando ci sta pesantemente sulle scatole, nemmeno quando non condividi nemmeno una parola di quello che dici, nemmeno quando ti da fastidio finanche la sua voce.
Ma alla fine, poveraccia, ci avevi creduto davvero nella tua storia d'amore, altrimenti non te lo saresti sposato quel bel tomo lì, non ci avresti fatto tre figli. Ed era un matrimonio che durava, diobonino, di questi tempi che se vai in oreficeria a cercare le fedi e ti domandano se le acquisti o le noleggi essere insieme dal lontano 1989 è mica da tutti.
E proprio a te, la paladina dell'orgoglio della tradizione, mulino bianco (no, meglio nero), lavoro, cucina, cura dei figli, Dio-Patria-Famiglia, arriva quella batosta tra capo e collo: un marito che frequenta prostitute minorenni, intercettato, beccato, indagato.
Peggio ancora per te devono essere le battutacce, gli insulti, i dileggi che imperversano sulla rete in questi giorni.
Sì, ben le sta.
A lei che diceva "meglio fascista che frocio".
A lei che offendeva per prima anche chi non le aveva fatto niente.
A lei che l'unica soluzione possibile era marito-moglie-figli e davanti al prete.
Cara Senatrice Mussolini, sinceramente mi dispiace per te, e lo dico senza retorica e senza sarcasmo.
Ai miei occhi hai tante colpe, ma in questo caso colpe non ne hai, e rifuggo anche dal "Poveruomo, con una virago così come moglie ci credo che andava a cercar le puttanelle!". No, perché il "Poveruomo" ti ha sposata di sua volontà, mica con una pistola puntata alla tempia o una damigiana di olio di ricino incombente, e quando ti ha sposata eri già come adesso, se un pregio te lo devo riconoscere per forza questo è la coerenza.
E quindi a te va la mia solidarietà di donna. Ma un paio di cosette mi preme dirtele.
Adesso, quando leggerai gli insulti, che tu reputi magari anche giustamente immeritati, pensa a quando eri tu a insultare chi non ti aveva fatto niente.
Adesso, quando prenderanno in giro la tua famiglia, pensa a quando eri tu che dileggiavi quelle che vedevi così diverse dal tuo ideale di perfezione.
Adesso, quando ti proclami così orgogliosa del cognome che porti, in barba a tutti coloro che ancora piangono i morti per le decisioni scellerate di tuo nonno, pensa a come potranno sentire, in futuro, i figli di quelle bambine nel sentire i tuoi, di figli, proclamarsi altrettanto orgogliosi del loro cognome, trasmesso da un padre che ha approfittato delle loro madri quindicenni per soddisfare le proprie aberrazioni sessuali di pedofilo.
Adesso pensa che in una famiglia arcobaleno, composta da due lui, due lei, due lui tre bambini e un cane, due lei due figlie e un gatto ci possono essere più rispetto, più amore e, sì, anche più legalità che nella tua color nero littorio.
E queste cose pensale un po' di più ogni volta che stai per aprire quella boccaccia sempre troppo truccata per spararne una delle tue.

sabato 8 marzo 2014

Non sono come tu mi vuoi

Perché se sono bella sono stupida, se sono brutta sono fuori comunque da tutti i giochi.
Se sono intelligente sono stronza, se non lo sono abbastanza sono oca.
Se ho figli non sono più donna perché sono solo madre, se non ne ho pensi che sia donna a metà.
Se lavoro pensi che tolga del tempo alla famiglia, se non lo faccio mi reputi parassita della società o frustrata.
Se mi prendo il diritto di criticare mi appioppi l'etichetta di acida, altrimenti sono troppo remissiva.
Se parlo sono pettegola, se taccio acqua cheta.
Se vivo la mia sessualità come voglio sono troia, se pratico la castità sono frigida.
Se faccio carriera l'ho data sicuramente a qualcuno, se non la faccio è perché non ho le palle.
Se sono ministro è perché si è dato più valore al genere che al merito, se rimango nelle retrovie è perché non riesco a far valere la mia esperienza.
Se mi arrabbio è perché sono isterica o comunque non la do via abbastanza, se subisco è perché non ho carattere, tromba di più che vedrai ti farà bene.
Se pretendo che cazzo voglio? Se accetto perché non pretendo?
Se mi violentano me la sono cercata.
Se mi picchiano in fondo me lo merito.
Se non sono come le donne degli spot sono fuori mercato, fuori target, fuori statistica, fuori luogo.
No, non sarò mai come tu mi vuoi.
Perché nemmeno tu sai come mi vuoi, caro pensiero comune.
Ma io lo so come sono, sono comunque donna.
E fiera di esserlo, fiera di esprimerlo in ogni forma, con ogni mezzo a mia disposizione e andando oltre ogni luogo comune ma, soprattutto, trecentosessantacinque giorni l'anno.
Non solo oggi.
Se ti va bene è così, altrimenti peggio per te.