giovedì 1 maggio 2014

Fatele girare

Sono stata refrattaria a facebook per un bel po' di tempo, mi iscrissi convinta da una collega. Poi ci sono rimasta, ben contenta di esserci anche perché così riesco a mantenere contatti con amiche e amici sparsi un po' per tutto il globo.
Ma sono una facebookista atipica, pollicio poco e solo se convinta, se voglio esprimere la mia partecipazione a un fatto particolarmente intimo o personale, anche se pubblicizzato da un aggiornamento di stato, preferisco mandare un messaggio personale piuttosto che commentare pubblicamente. Odio i link bimbiminkia, non riesco a diffondere immagini anche se bellissime ma impersonali e ho una vera e propria allergia per le vignette buffe e i saluti in rima. La mia amata cugina acquisita Patrizia mi perdonerà se dico che non sopporto i micetti teneri e buffi che ogni sera appaiono sulla mia home page declamando "con tanto affetto vi saluto e vado a letto!". Lo so che a lei e a molti altri piacciono e che quindi probabilmente quella sbagliata sono io, ma son fatta così. Male, direte voi, e questo è vero, ma permettetemi di dire che so benissimo che il giorno che segue la domenica è il lunedì, senza che ogni inizio di settimana appaia sul mio monitor il nano Brontolo (no, non Brunetta, quello di Walt Disney) a ricordarmelo con la sua faccia ingrugnita.
UFFA! E' LUNEDI'!
Lo so, è stato lo stesso anche la settimana scorsa e lo sarà la prossima, possibile che ancora non lo abbia capito?
Ma una cosa che mi manda letteralmente in bestia è l'ormai virale "Fatela girare!"
Leggevo oggi di una situazione al limite del paradossale, il pronto soccorso di un ospedale pediatrico che ha pubblicato un aggiornamento di stato per chiedere, per favore, di smetterla di andare in massa a offrire sangue rh 0 negativo per una bambina gravemente malata, non ce n'era nessun bisogno e le continue telefonate che ricevevano stavano creando seri problemi. Qualcuno, chissà a quale scopo, ha pubblicato la notizia su facebook accompagnata dal consueto invito, "fatela girare!" "condividi, se hai un cuore!" e centinaia di brave persone in perfetta buona fede ha preso la notizia per reale.
Ma peggio ancora è quando queste bufale tendono a fomentare assurde e pericolose guerre tra poveri o ad alimentare pericolosi integralismi, si tratti di razzismo, omofobia, animalismo o ecologismo estremo.
Sappiatelo, non esiste nessuna legge approvata dal Comune di Torino (peraltro, a norma del titolo V della Costituzione Italiana i Comuni non possono emanare leggi ma solo regolamenti) che assegna case gratuite ai Rom e prevede per loro sussidi di migliaia di euro, la povera coppia che dormiva sotto i ponti in Emilia Romagna mentre le case popolari venivano assegnate agli extracomunitari in realtà aveva rifiutato tutti gli alloggi proposti loro perché non gli piacevano, la ex Ministra Kyenge non ha mai presentato una proposta di legge che prevedeva il reddito di cittadinanza per i clandestini, non esiste alcun dossier segreto della CE sul fatto che effettivamente i vaccini causrebbero l'autismo o altri gravi problemi né tantomeno alcun carteggio segretissimo che provi la presenza di centrali nucleari sotterranee responsabili dei sismi sul nostro territorio, ai matrimoni nel sud d'Italia non si sparano colpi in aria almeno dalla metà del secolo scorso, quindi la sposa calabrese che avrebbe ucciso otto invitati per rispettare questa barbara tradizione è una bufala bella e buona.
Ma il facebookista (cit. Paolino Paperino) legge, si indigna, e fa subito suo l'appello "Fatela girare!" contribuendo così alla diffusione di notizie assurde, pericolose, create ad arte per sfruttare al meglio le paure insite nella maggior parte dell'italiano medio, quelle del diverso, dello straniero.
E l'italiano medio abbocca.
Quindi, vi prego, prima di diffondere una qualunque notizia, anche se l'ha postata il vostro migliore amico, il consigliere del vostro quartiere, il sito di notizie vere più vere del vero controllate che non sia una bufala. E' una forma di civiltà e di onestà intellettuale.
Come fare?
Date un'occhiata qui.
Servono solo pochi minuti e magari, se lo facciamo tutti, smettiamo di farle girare.
Le scatole.

martedì 22 aprile 2014

Una cavalletta in mezzo ai grilli

sottotitolo: gli uomini - da subito - capiscono veramente il giusto.

Ti sei fatta distinguere da subito, e non solo per la tua pelle ambrata e per i ricci neri refrattari alla costrinzione della coda di cavallo, unica ragazza tra i dieci e passa componenti della squadra di basket ma, soprattutto, per il fatto che hai preteso subito il tuo spazio e il tuo ruolo.
Che non è stato quello che magari ci si aspettava da te, sugli spalti a strillare parecchie ottave sopra al limite consentito per un tiro vincente o, dio ce ne scampi, sul parquet con un gonnellino a pieghe a sventolare pon-pon.
E' stato chiaro che le tue intenzioni erano ben altre, almeno a te.
Non altrettanto per i tuoi compagni di squadra: cacchio, una ragazza! Cosa vuole una ragazza qui dentro?
E ai sorrisetti condiscendenti e ironici dei primi tempi sono subentrate smorfie risentite, sempre più frequenti ad ogni allenamento, ogni tiro stoppato sottocanestro, ogni passaggio intercettato, ogni palla soffiata a centrocampo, ogni rimessa vanificata dalle tue entrate spericolate sempre al limite del falloso, ogni punto segnato.
Perché una ragazza non può far fare figure barbine ai suoi compagni di squadra, non può correre senza mai dar segni di cedimento dal primo minuto all'ultimo, non può sbarrare la tua strada piazzandosi davanti con un'espressione risoluta e battagliera e poi non farti passare.
Una ragazza deve essere carina, vezzosa e, se proprio vuole, può iscriversi al corso di pallavolo delle galline del campo adiacente, e strillare ogni volta che un tiro più forte scheggia un'unghia.
Ma tu no, non ci sei stata, e hai continuato a correre imperterrita con le tue lunghe gambe da cavalletta in mezzo a quella banda di grilli pretentendo soltanto quello che ti è dovuto: nemmeno l'ammirazione ma il rispetto.
Ma loro, figurati, non capiscono. Non vedono quanto sei bella. E lo sei per la tua diversità assoluta dalla maggior parte delle tue coetanee, per la tua caparbietà, per la tua tenacia, per la tua forza e per il tuo orgoglio. Bella alla fine dell'allenamento, distrutta dalla stanchezza e fradicia di sudore, bella, per dirla come Emmepiccola, come un ghiacciolo alla cocacola che si sta sciogliendo. Per loro hai soltanto invaso il loro campo, il loro spazio di scarpe puzzolenti e ascelle pezzate, di battute trivie sulle compagne di classe, quelle gne-gnè con i capelli già schiariti e i primi esperimenti di trucco in faccia, quelle che quando loro passano con la borsa dell'allenamento in spalla si scambiano confidenze e risatine stridule dietro il dorso delle mani e ammiccano alle loro masse di ormoni semoventi. Tu sei grezza, sei fallosa, scarmigliata e selvaggia, e li spaventi.
Non possono essere dalla tua parte, perché sconvolgi tutte le loro certezze, perché hai più palle tu da sola di quelle che ci sono nelle mutande di tutto il resto della squadra.
E' per questo che quando hai vinto la gara di tiri liberi contro tutti gli altri ti hanno applaudito tutti i genitori sugli spalti ma non loro, i tuoi compagni di squadra. E te ne sei andata con gli occhi lucidi, la coda di cavallo mezza sfatta, sbatacchiando la tua borsa come se fosse uno di loro, di quelli che ti hanno fatto buuuu quando sei uscita dal campo.
Imparerai a fregartene, che devi fare il doppio della fatica degli uomini per ottenere la metà della stima che riservano per i loro simili lo sai già. Ma ce la farai e quelle lunghe gambe ti porteranno molto più lontano di quanto credi adesso.
Perché io so che un domani, quando l'essere nata da genitori nordafricani non conterà più niente, tu avrai una maglia azzurra della nazionale di basket, e io vorrò essere lì ad applaudirti.
Poi verrò a salutarti e, se non mi riconoscerai, ti dirò chi sono.
Sono la mamma di quel pollo che aveva la maglia numero 33, di quello che guardavi con occhi adoranti, che per un inverno intero hai aspettato all'uscita mentre lui sparava cretinate con i suoi amici, quello a cui hai porto la mano per aiutarlo a rialzarsi ogni volta che è finito a terra, che hai consolato dopo le sconfitte e che hai abbracciato dopo le vittorie.
Quello che era troppo giovane, troppo immaturo per capire la tua bellezza infinita di perla nera e ti ha preferito una gne-gné vezzosa e truccata che non se l'è mai filato nemmeno di striscio, una perla d'arsella.
E spero anche di dirti che ha capito e che ha cambiato gusti.

Cacchiolina, sai con una nuora come te come mi divertirei?

mercoledì 19 marzo 2014

Primavera sul 4

Il 4 delle 7.40 è meno pieno del solito, oggi pomeriggio è previsto lo sciopero dei mezzi pubblici e molti  si spostano in automobile. La panchina nello snodo ha due posti occupati e due liberi, mi siedo e comincio a leggere. I due ragazzi accanto a me parlano fitto fitto a voce bassa, i volti vicinissimi, gli occhi negli occhi, le bocche sorridenti. Alla fermata successiva sale la classica vecchiaccia da tram, ingombrante, cotonata-pittata-schifata. Si alzano contemporaneamente per cederle il posto, lei si siede e loro rimangono in piedi, entrambi. Si capisce che non vogliono stare divisi neppure per qualche fermata di tram.
E continuano a guardarsi negli occhi con tutta la luce di questa mattinata che anticipa la primavera, continuano a parlare fitto fitto nell'eterno linguaggio delle persone innamorate, sorridono, ridacchiano di sciocchezze.
Poi, è un momento, un battito di ciglia, e una mano scivola nell'altra. Una mano dalle unghie smangiucchiate ma provocatoriamente smaltate di nero, l'altra sottile, esile, pallida.
Mi ricorda una farfalla, forse una libellula.
Con un gesto forte e delicato stringe l'altra mano.
La vecchiaccia guarda la scena, guarda me, arriccia il labbrino dipinto di rosa corallo e sentenzia che ai suoi tempi certo schifo non si vedeva.
Dovevano essere ben tristi i suoi tempi, rispondo io.
Le mi guarda ancora, sorpresa e sdegnata, e tace.
Loro non si sono accorti di niente, ridono di qualcosa che sanno solo loro.
Io li guardo, con lo sguardo di solidarietà che le persone innamorate riservano a chi è come loro, penso alla mano di mio marito che cerca la mia quando camminiamo per strada, o per una stretta fugace al semaforo rosso.
Loro sentono il peso del mio sguardo, la mano con le unghie smaltate fa per ritrarsi, ma l'altra continua a stringerla e io continuo a sorridere, allora mi sorridono anche loro.
E tenetevele strette quelle mani, oggi e per sempre, e conservate quella luce negli occhi.
Continuate a farvi discorsi scemi e senza senso su tutti i tram e su tutte le strade del mondo.
E chi cazzo se ne frega se magari vi chiamate Luigi e Filippo.
O Claudio e Simone.
O come cavolo vi chiamate.

venerdì 14 marzo 2014

Da donna a donna

Mentirei se non ammettessi che quando ho sentito la notizia ho pensato che alla fine ben ti sta.
Ma la prima reazione è stata istintiva, poi ci ho ragionato sopra, e alla fine non sta bene per niente, nemmeno a te.
Perché nessun essere umano dovrebbe essere umiliato, nemmeno quando ci sta pesantemente sulle scatole, nemmeno quando non condividi nemmeno una parola di quello che dici, nemmeno quando ti da fastidio finanche la sua voce.
Ma alla fine, poveraccia, ci avevi creduto davvero nella tua storia d'amore, altrimenti non te lo saresti sposato quel bel tomo lì, non ci avresti fatto tre figli. Ed era un matrimonio che durava, diobonino, di questi tempi che se vai in oreficeria a cercare le fedi e ti domandano se le acquisti o le noleggi essere insieme dal lontano 1989 è mica da tutti.
E proprio a te, la paladina dell'orgoglio della tradizione, mulino bianco (no, meglio nero), lavoro, cucina, cura dei figli, Dio-Patria-Famiglia, arriva quella batosta tra capo e collo: un marito che frequenta prostitute minorenni, intercettato, beccato, indagato.
Peggio ancora per te devono essere le battutacce, gli insulti, i dileggi che imperversano sulla rete in questi giorni.
Sì, ben le sta.
A lei che diceva "meglio fascista che frocio".
A lei che offendeva per prima anche chi non le aveva fatto niente.
A lei che l'unica soluzione possibile era marito-moglie-figli e davanti al prete.
Cara Senatrice Mussolini, sinceramente mi dispiace per te, e lo dico senza retorica e senza sarcasmo.
Ai miei occhi hai tante colpe, ma in questo caso colpe non ne hai, e rifuggo anche dal "Poveruomo, con una virago così come moglie ci credo che andava a cercar le puttanelle!". No, perché il "Poveruomo" ti ha sposata di sua volontà, mica con una pistola puntata alla tempia o una damigiana di olio di ricino incombente, e quando ti ha sposata eri già come adesso, se un pregio te lo devo riconoscere per forza questo è la coerenza.
E quindi a te va la mia solidarietà di donna. Ma un paio di cosette mi preme dirtele.
Adesso, quando leggerai gli insulti, che tu reputi magari anche giustamente immeritati, pensa a quando eri tu a insultare chi non ti aveva fatto niente.
Adesso, quando prenderanno in giro la tua famiglia, pensa a quando eri tu che dileggiavi quelle che vedevi così diverse dal tuo ideale di perfezione.
Adesso, quando ti proclami così orgogliosa del cognome che porti, in barba a tutti coloro che ancora piangono i morti per le decisioni scellerate di tuo nonno, pensa a come potranno sentire, in futuro, i figli di quelle bambine nel sentire i tuoi, di figli, proclamarsi altrettanto orgogliosi del loro cognome, trasmesso da un padre che ha approfittato delle loro madri quindicenni per soddisfare le proprie aberrazioni sessuali di pedofilo.
Adesso pensa che in una famiglia arcobaleno, composta da due lui, due lei, due lui tre bambini e un cane, due lei due figlie e un gatto ci possono essere più rispetto, più amore e, sì, anche più legalità che nella tua color nero littorio.
E queste cose pensale un po' di più ogni volta che stai per aprire quella boccaccia sempre troppo truccata per spararne una delle tue.

sabato 8 marzo 2014

Non sono come tu mi vuoi

Perché se sono bella sono stupida, se sono brutta sono fuori comunque da tutti i giochi.
Se sono intelligente sono stronza, se non lo sono abbastanza sono oca.
Se ho figli non sono più donna perché sono solo madre, se non ne ho pensi che sia donna a metà.
Se lavoro pensi che tolga del tempo alla famiglia, se non lo faccio mi reputi parassita della società o frustrata.
Se mi prendo il diritto di criticare mi appioppi l'etichetta di acida, altrimenti sono troppo remissiva.
Se parlo sono pettegola, se taccio acqua cheta.
Se vivo la mia sessualità come voglio sono troia, se pratico la castità sono frigida.
Se faccio carriera l'ho data sicuramente a qualcuno, se non la faccio è perché non ho le palle.
Se sono ministro è perché si è dato più valore al genere che al merito, se rimango nelle retrovie è perché non riesco a far valere la mia esperienza.
Se mi arrabbio è perché sono isterica o comunque non la do via abbastanza, se subisco è perché non ho carattere, tromba di più che vedrai ti farà bene.
Se pretendo che cazzo voglio? Se accetto perché non pretendo?
Se mi violentano me la sono cercata.
Se mi picchiano in fondo me lo merito.
Se non sono come le donne degli spot sono fuori mercato, fuori target, fuori statistica, fuori luogo.
No, non sarò mai come tu mi vuoi.
Perché nemmeno tu sai come mi vuoi, caro pensiero comune.
Ma io lo so come sono, sono comunque donna.
E fiera di esserlo, fiera di esprimerlo in ogni forma, con ogni mezzo a mia disposizione e andando oltre ogni luogo comune ma, soprattutto, trecentosessantacinque giorni l'anno.
Non solo oggi.
Se ti va bene è così, altrimenti peggio per te.

martedì 25 febbraio 2014

Sala d'attesa

Io mi ammalo raramente.
Cioè, per essere più corretti mi ammalo con la stessa frequenza degli altri comuni mortali, solo che il più delle volte faccio finta di niente.
Perché se accetto di avere il raffreddore, la febbre, lo squaraus o il virus significa che mi devo dar malata al lavoro, e se mi do malata poi devo stare agli arresti domiciliari, perché i dipendenti pubblici non hanno la reperebilità dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 20 come tutti gli altri lavoratori, ma dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, quindi se sono a casa in mutua non posso uscire nemmeno imbottita tipo bibendum e dopata di paracetamolo per andare a recuperare Emmepiccola a scuola ma devo stare sempre a disposizione del fantomatico medico fiscale che potrebbe venire a verificare se sono una fancazzista o effettivamente fuori uso.
E quindi finché posso reggo, e finché posso significa finché ho un bagno a disposizione, la febbre inferiore a 38 (a volte anche 38.5) o finché me la cavo con una quantità di fazzoletti di carta tutto sommato trasportabile in borsa.
Altra ragione perché non mi "ammalo" mai è che avere un certificato di malattia dal mio medico di base è un'avventura che nemmeno Salgari avrebbe potuto immaginare.
Innanzitutto non crediate che l'Anto, medico e amica della FamigliaSbullonata, sia uno di quei medici che cura e certifica per telefono, se la chiamo dicendo "Anto, ho un giradito, mi prescrivi una pomata?" lei pretende che vada nel suo studio, mi faccia le canoniche due ore di coda anche se ho un appuntamento, visita il dito, la mano, il braccio, l'ascella e l'apparato respiratorio e già che c'è misura anche la pressione e le pulsazioni. Fino ad adesso ho evitato l'esame rettale ma credo che sia stata solo forutna. Idem se le telefono dicendo "Anto, questa notte sono stata male, mi fai un certificato di mutua per oggi?". La prassi è la stessa: ambulatorio, visita, certificazione. E ogni volta da il minimo sindacale, sul genere che se ti presenti da lei stremato e con 40° di febbre la frase è sempre la stessa: intanto di do tre giorni, se poi non ti passa torni e ti faccio un altro certificato. Capirete che finché gliela faccio evito di mettermi assente per malattia, mi stanco meno e mi curo meglio se vado al lavoro.
Ma ieri proprio non ce l'ho fatta. Il raffreddore che stavo cercando bellamente di ignorare e che tra discese ardite e risalite mi sta tormentando da quasi tre settimane ha approfittato di un mio attimo di distrazione e mi ha dato il colpo di grazia. Adesso viaggio al ritmo di 40 starnuti al minuto con un rotolo di carta cucina in tasca al posto dei kleenex e il naso color borgogna. Visto che nel mio ufficio non c'è nemmeno il termosifone (non scherzo, sopravvivo con una stufetta elettrica sotto la scrivania) e dagli spifferi della porta passano i pitoni e considerata la felice casualità che fa sì che mio marito riesca ad andare a prendere Emmepiccola a scuola per tre giorni di fila ho deciso di curarmi a modino.
Quindi chiamo la solerte segretaria del mio medico per avere il ceritificato. Lo sa che la dottoressa la vorrà visitare, vero? Lo so, lo so... Guardi, la avverto che venga prima solo per lei, si presenti alle 15.40 in studio. Presentarsi alle 15.40 in studio significa uscire di casa alle 14.40, farsi una bella camminata per andare a prendere il bus e 45 minuti buoni di tragitto cittadino perché pensare di addentrarsi in quel caotico quartiere in macchina significa poi dover farsi prescrivere un controllo psichiatrico.
Qaundo arrivo la sala d'attesa è gremita dagli stessi vecchietti che ci sono ogni volta, che a volte credo che vivano in studio e si cucinino i pasti dietro quella misteriosa porta con il segnale di divieto d'accesso che da anni mi chiedo cosa celi.
Faccio per avvicinarmi al bancone della segretaria ma prima che abbia fatto in tempo a dire buongiorno un vecchietto dalle retrovie piomba minaccioso davanti a me tuonando "Sono arrivato prima io! Nessuno mi ha detto che dovevo prendere il numero!!!!" la segretaria lo tranquillizza, nessun numero, la dottoressa ha una lista di appuntamenti e chiama per nome. "Eh, perché io sono qui da un bel po'!" Sì, penso io, probabilmente da quando ancora c'era Prodi alla presidenza del Consiglio.
Comunque mi siedo, comincio a leggere il libro che mi sono portata dietro (Una ragazza per la notte - Corrado Augias, un bel giallo che vi consiglio) e tengo il tempo con i miei soliti 40 starnuti al minuto. Premetto che ogni volta che starnutisco mi volto verso il muro e mi copro la bocca con la mano. Sono una personcina beneducata, io. Alla terza raffica le due vecchiette sedute davanti a me cominciano a dare segni di impazienza. Confabulano tra loro che una viene dal medico che sta bene e corre il rischio di uscire con tutte le magagne del mondo, mi guardano in cagnesco e mi aspetto che da un momento all'altro comincino a inveire "Dagli all'untore!". Mi astengo dal domandare loro perché, se stanno bene, siano nella sala di attesa di uno studio medico solo perché la quarta raffica me lo impedisce. Il medico apre la porta dello studio e si alzano contemporaneamente in quattro, viene chiamato il nome di un vecchietto vispo e baldanzoso che guadagna l'ingresso con espressione di trionfo mentre gli altri tre si siedono scornati borbottando congetture sul fatto che fossero arrivati prima loro. La stessa scena si ripete invariabilmente ogni volta che il medico chiama il paziente successivo, sembra di essere alla finale di Miss Italia: "Signora Pautasso, avanti è il suo turno!" "Ecco, lo dicevo che quella è una raccomandata, chissà con chi è andata a letto per passare per prima!".
Sono in attesa da oltre un'ora quando, all'enesima apertura di porta e al conseguente scatto in piedi questa volta di due vecchiette e un ottuagenario con una valigia piena di cartelle cliniche, il medico mormora un nome che li lascia sconcertati perché non appartiene a nessuno di loro. La dottoressa si volta nella mia direzione e mi apostrofa, Ale, sei sorda? Ho chiamato te! Mi alzo mentre la voce della stessa vecchietta che temeva le attaccassi la peste polmonare strepita che insomma, lei è qui dalle due e mezza! La dottoressa, placida, le chiede il perché, visto che l'appuntamento lo aveva per le quattro
Comunque dopo la consueta visita completa e la concessione di tre giorni di mutua - se poi stai ancora male torna che te ne do altri - faccio per uscire e trovo il vecchietto ottuagenario che sta usando il montascale per scendere occupando tutto il passaggio e procedendo alla velocità di due metri l'ora. Attendo con pazienza che abbia compiuto tutto il tragitto e lo vedo, una volta raggiunto il pianterreno, balzare in piedi con scatto da felino e uscire per infilarsi direttamente nel bar di fronte.
Dove, probabilmente, sta ancora litigando al bancone per stabilire chi è arrivato per primo.

domenica 9 febbraio 2014

Un tranquillo sabato notte di paura

Interno sera.
Io faccio per andare a dormire ma trovo il letto occupato da tre uomini e una gatta. Solo posti in piedi, per intendersi. Ma stringendosi un po', bontà loro, riescono a far entrare anche me. Sono tutti occupati a guardare la puntata di Body of proof, e non venite a dirmi che non è un telefilm da bambini. Paragonati a certi videogames che si scambiano con i loro amici è roba da educande.
Comunque io ho sonno, un sonno cane, leggo qualche pagina e mi faccio posto a forza di colpi di fianchi per trovare la mia allocazione e dormire. Nel farlo mi stiro il muscolo della chiappa destra e tiro giù qualche santo dai piani alti ma finalmente assumo la posizione fetale e, sospirando di sollievo, mi accingo a dormire il sonno dei giusti. Per dormire il sonno dei giusti mi devo infilare i tappi di gomma nelle orecchie, Emmemaxi russa e il suo russare è come la benedizione del prete, passa sette porte chiuse.
Sto per appisolarmi quando un forte rumore dal piano di sopra mi fa sobbalzare, nonostante i tappi nelle orecchie. Emmepiccola non fa una plissé, Emmegrande comincia a urlare che ci sono i ladri e gli assassini ed Emmegrande, senza punto smuoversi, commenta faceto "Sarà rubatato il vecchio del piano di sopra!". Rimaniamo in ascolto, si sente ancora un rumore come di sedia smossa e poi basta.
Mi rimetto in posizione fetale e faccio di nuovo per concedermi il meritato riposo. Credo di averci impiegato 4/5 secondi netti.
Dopo un lasso di tempo per me non quantificabile mi sveglia uno schiaffetto sulla guancia. Apro una fessuretta nel mio campo visivo e trovo la faccia preoccupata di mio marito che mi guarda dall'alto. "Amore, io vado a controllare perché sento ancora dei rumori che vengono da sopra, non vorrei che il vecchietto avesse bisogno veramente di aiuto!"
Io stavo dormendo il sonno dei giusti. Sostiene il marito che abbia mugugnato qualcosa e mi sia rigirata sull'altro fianco riaddormendandomi immediatamente.
Ma lui voleva essere sicuro che avessi recepito il messaggio, cosa che peraltro avevo fatto già al primo tentativo, e mi appioppa un altro paio di teneri ceffoni sulle gote risvegliandomi per l'ennesima volta. "Amore, vado dal vecchietto al piano di sopra...." L'HO CAPITO!!!! LASCIAMI DORMIRE CHE HO SONNO!!! Sottotitolo: vai a salvare vite umane e lascia che passi la mia dormendo per il resto del tempo.
E mi riaddormento impiegandoci, questa volta, 10/15 secondi.
Il prode consorte sale al piano di sopra, bussa e suona il campanello del povero vecchietto che non da segni di vita, telefona alla centrale operativa dei VV.UU. pregandoli di rintracciare tramite l'anagrafica comunale eventuali congiunti per avvertirli, nel frattempo sente il vecchietto da dentro che urla "aprite!!!!", allora richiede anche l'ambulanza e l'autoscala dei vigili del fuoco. Arrivano i nostri, non riescono ad aprire la porta con il vecchio trucco della carta di credito allora chiedono a Emmemaxi di entrare in casa nostra per far vedere all'autoscala qual'è il balcone dal quale entrare. Emmemaxi con due baldi pompieri entra in casa nostra, chiude la Fiona, che si è messa in testa di dirigere i lavori, in cucina e entra in salotto accendendo la luce per guidare quelli che stanno facendo manovra in cortile, aprono la finestra, guidano, si sbracciano, indicano e poi finalmente se ne tornano dal vecchietto.
Sono le 01.30.
Io continuo, imperterrita, a dormire il sonno del giusto.
Non così Emmegrande, che nel dormiveglia intravede un pompiere che passa nel corridoio. Il suo giovane e ansioso cervellino elabora immediatamente una serie di tragedie familiari, chiama papà per essere rassicurato ma papà non risponde perché è occupato a salvare il vecchietto, si alza e lo cerca per casa e non lo trova. E' panico assoluto.
Emmegrande mi piomba nel letto urlando COSA E' SUCCESSO A PAPAAAAAA' e tremando come la gatta quando ha gli attacchi epilettici, io mi sveglio per l'ennesima volta e mi rendo conto che effettivamente Emmemaxi non c'è. Allora lo chiamo al telefono e lui mi dice che stanno salvando il vecchietto del piano di sopra ma Emmegrande ha deciso che non si muove dal letto finché non vede tornare suo padre sano e salvo dal settimo piano. Con nemmeno tanto velate minacce lo costringo a tornare al suo posto.
E mi riaddormento.
Il vecchietto del settimo piano, 96 anni di ostinata caparbietà che rifiutano di trasferirsi dalla figlia o di dividere l'appartamento con qualsiasi badante, è scivolato sotto il tavolo della cucina e non riesce a rialzarsi anche se non ha niente di rotto. Viene rimesso in piedi ma è opportuno accompagnarlo all'ospedale per un controllo. Da il numero di telefono della figlia a Emmemaxi che se lo fa ripetere per sicurezza e poi lo comunica alla centrale operativa perchè l'avvertano. La centrale operativa si perplime, insomma il tizio ha una certa età e se ha dato il numero sbagliato corriamo il rischio di disturbare qualcuno che non c'entra niente... Il marito allora decide che ci pensa lui ad avvertire la figlia, cazzo il vecchietto ha quasi cent'anni ma è lucidissimo. Signora, sono il vicino di casa di suo padre, non si preoccupi che sta bene ma è successo questo e lo stanno accompagnando all'ospedale... Cazzo, ma cosa credono! Il vecchietto ha più testa di loro! E mentre pensa questo il tenero e lucido vecchietto gli comunica che ieri gli hanno dato il diploma di cavaliere del lavoro per 40 anni di onorato servizio in FIAT e che pure Gianni Agnelli gli ha stretto la mano. Oddio, forse proprio tanto lucido non lo è. "Signore, lo sa che lei somiglia tanto un tipo alto e grosso che abita al piano sotto al mio?" Gentile vecchietto le do una notizia: IO sono il tipo alto e grosso che abita sotto di lei! "Allora è colpa sua se son caduto, con tutti gli accidenti che mi tira perché tengo la televisione troppo alta!" 
Il prode eroe del sesto piano è tornato a letto che erano le due passate, mentre io e i suoi figli continuavamo a dormire come sassi, con un dubbio amletico da risolvere:
perché la televisione del tenero vecchietto 96enne era sintonizzata su MTV? 

lunedì 27 gennaio 2014

Vittoria

Di Vittoria dicevano che fosse stata bellissima, e qualche traccia di quello che era stata la portava ancora negli occhi, due carboni nerissimi, vivi e attenti, che non si soffermavano più che qualche istante su quello che passava loro davanti.
Adesso della bellezza passata non era rimasto altro in quel corpo magro ed esagitato, dai capelli grigi rasati quasi a zero.
Vittoria passava sempre di fretta, a volte rideva, a volte piangeva, spesso imprecava. Contro tutto, tutti, contro la vita, il tempo, le automobili che la sfioravano nel suo incedere sempre al bordo della strada.
A volte chiedeva una sigaretta, mai soldi, di cosa vivesse lo sapeva solo lei, forse di aria e di rabbia, dove si procurasse il cibo e quei vestiti che si vedeva che erano stati belli, ma ora ridotti a cenci fioriti e che le cadevano da tutte le parti era ignoto a tutti quanti.
Ma Vittoria era una costante, una certezza. Eri sicuro di trovarla tra Piazza del Municipio e il cimitero con qualunque tempo, con la pioggia battente, il vento sferzante o sotto quella neve noiosa e bagnata che cade da quelle parti, sempre troppo pesante per attecchire, che illude i bambini e poi li delude trasformandosi in pozzanghere melmose appena si incontra con l'asfalto. Lei sfidava tutti i climi, sempre di fretta, spesso arrabbiata, con i suoi leggeri vestitini a fiori come se fosse immune al freddo, al vento, alla pioggia e alla neve.
Ma con l'arrivo della bella stagione Vittoria cominciava a essere contenta, e rideva con un'espressione simile alla gioia, il volto alzato verso il cielo a bersi ogni raggio di sole.
E quando faceva veramente, veramente caldo Vittoria si spogliava, completamente nuda, e cominciava a saltellare nei prati come una ninfa che qualche punizione celeste aveva infilato nel corpo di una strega, poi si sdraiava come se fosse stata sulla spiaggia di Viareggio e stava ad ore a grogiolarsi, un'oscena lucertola appagata, con la pelle arruffata sulle gracili ossa come lenzuola stropicciate in un letto d'ospedale.
A noi Vittoria faceva tanto ridere. Quando la vedevamo sdraiata in un prato l'additavamo, sghignazzavamo, qualche ragazzo più sfacciato le gridava dietro oscenità solo per il gusto di vederla alzarsi, le borse vuote del seno ondeggianti come barchette in un mare in tempesta e cominciare a correre con il pugno alzato urlando ogni vituperio contro chi l'aveva importunata. A quel punto le risate diventavano irrefrenabili.
Un giorno qualcuno ci vide, sentì chiaramente la voce di quel ragazzino brufoloso che le urlava vecchia troia mentre lei si faceva il suo bagno di sole, ascoltò le nostre risate più vergognose delle sue vecchie nudità sdraiate sull'erba. Non ci rimproverò, non minacciò di chiamare la polizia, i vigili, i nostro genitori. Ci chiese solo se sapessimo cosa significava quel numero che Vittoria aveva tatuato sull'avambraccio.
Vittoria era stata bellissima, aveva avuto spasimanti e foto esposte nelle vetrine, bei vestiti e pellicce e gioielli. Vittoria era ebrea e aveva conosciuto il campo di concentramento. Non so quale, c'era chi diceva fosse in Austria, ma forse in Polonia.
Il suo essere bellissima l'aveva preservata dalla morte ma non l'aveva salvata, perché Vittoria era stata sistematicamente scopata da tutti coloro che ne avessero voglia, una puttana obbligata costretta a soddisfare le voglie dei suoi aguzzini, di coloro che la disprezzavano pubblicamente perché di razza inferiore ma che in privato violentavano la sua bellezza uccidendola ogni giorno un po', fino a quando la sua anima si era spenta.
Vittoria ha continuato ancora per qualche anno a vagare imprecando per il paese, a togliersi i suoi stracci fioriti per sdraiarsi nuda al sole, ma non ci faceva più ridere.

Trasmetto il ricordo di Vittoria a chi leggerà queste righe come adempiessi a un dovere morale. Quello di ricordare cosa è successo.
Quello di sputtanare coloro che sostengono sia stata solo propaganda.
Quello di combattere coloro che vorrebbero che i campi di concentramento esistessero ancora.
 

domenica 19 gennaio 2014

La rabbia e l'orgoglio

Emmegrande, alle medie, ha vinto la classe più complessa di tutto l'istituto.
Che culo.
Ragazzini, svegli, teoricamente in gamba, in realtà ci sono quei quattro/cinque elementi indisciplinati e poco gestibili che creano non pochi problemi di disciplina.
E il pargolo, dai tempi del nido, ha sempre subito l'attrazione fatale degli scalmanati. Non che lui non lo sia, beninteso, il suo caratterino polemico e la sua tendenza a volere sempre l'ultima parola gli hanno procurato non poche reprimende e punizioni già dai tempi della materna, almeno è sensibile ai richiami e tende a rispettare l'autorità dei professori.
Ma la sua classe è già leggenda, le mamme dei suoi compagni delle elementari quando mi incontrano fanno la faccina contrita e dispiaciuta, poveretta come sei capitata male, altre semplicemente cambiano marciapiede quando mi incontrano, ormai Emmegrande è finito nel peggior girone dell'inferno scolastico, è un reietto e come tale destinato a una brutta fine, come quei delinquenti dei suoi compagni.
E ce n'è uno che ormai si dice abbia un posto prenotato al Ferrante Aporti, è un vero terrorista, un potenziale serial killer, uno da evitare come un appestato nel Medioevo.
Il Ripetente.
Il Ripetente mi si è avvicinato un pomeriggio in oratorio, io sono un amico di tuo figlio, forse avrai sentito parlare di me perché sono cattivissimo. Gli ho risposto che non penso che esistano ragazzini cattivi, ma solo ragazzini che per qualche motivo fanno cose stupide. Poi crescono e si rendono conto che con le azioni stupide ci si fa soltanto del male da soli.
Che poi le cose stupide si fanno per tanti motivi: per noia, per disinteresse. Per rabbia.
Il Ripetente racconta a tutti che suo padre è morto, ma non è vero. Suo padre se ne è andato, lasciando lui con la madre appena trentenne e cinque tra fratelli e sorelle più piccoli quando la minore aveva pochi mesi. Hanno dovuto lasciare il quartiere e la casa dove abitavano per vivere in un posto nuovo, in una casa popolare, tra gente che non conosce. Ha cambiato scuola a metà anno ed è stato bocciato.
Il Ripetente è arrabbiato con il mondo in generale, con gli adulti in particolare.
E' venuto diverse volte a casa nostra, vuole bene a Emmegrande e si è affezionato anche a Emmepiccola, chiama me e Emmemaxi "Zia" e "Zio".
Arriva sereno e tranquillo, dopo un po' si vede la rabbia che comincia a crescergli negli occhi, dopo il tempo che si rende conto che quella che fa finta che sia la sua famiglia in realtà non lo è, e alla fine della giornata dovrà tornare nella casa popolare, al suo ruolo di adulto per forza che gli impone di accudire i fratelli più piccoli, di pensare a loro, di controllare che mangino e di mettergli a letto perché la madre non ce la fa. E comincia a straparlare, diventa irrequieto e ingestibile. Emmemaxi riesce a placarlo, riesce a far rispettare il suo ruolo di adulto, a calmarlo, a farlo ragionare.
Qualche volta si ferma a cena e a tavola parla con noi di politica, di società, di valori con una sensibilità e un intelligenza insospettabili in un ragazzino di nemmeno tredici anni che fanno capire le enormi potenzialità che sono soffocate da tutta quella rabbia che si porta addosso, un fardello troppo pesante da portare per un ragazzino, un ragazzino che si è già scelto un ruolo nella vita, quello del ribelle.
E io spesso vorrei abbracciarlo, vorrei dirgli che io quella rabbia la conosco bene, quel sentimento distruttivo e autodistruttivo che ti brucia come una fiamma nello stomaco.
Lo conosco bene quella sensazione di occhi che pungono quando vedi gli altri padri con i loro figli che li vengono a prendere a scuola, che giocano con loro a calcio o a basket, che li sgridano o li lodano e anche tu vorresti quella sgridata, anche un ceffone purché a dartelo sia un padre.
Perché anche il mio di padri mi ha mollata.
E io quella rabbia l'ho gestita male, ho cercato disperatamente di essere la migliore in qualche cosa per dimostrargli cosa si fosse perso, studiando come una pazza per essere sempre la migliore a scuola, tentando tutti gli sport per dimostrargli che non ero imbranata come mi avevano etichettata fin da piccola, massacrandomi l'organismo a forza di diete che poi mandavo regolarmente a puttane mangiando di nascosto ogni schifezza che trovavo per poi non arrivare a niente se non ad accumulare ulteriori tonnellate di rancore e veleno.
Vorrei che capisse che non deve dimostrare niente a nessuno, che può avere tutto quello che di bello può dargli la vita e non per rivalsa, ma perché se lo merita, perché nessun bambino dovrebbe pagare per l'irresponsabilità di chi lo ha messo al mondo, che deve trovare dentro di sé l'orgoglio di dire IO CE LA FARO' perché posso farlo, ho le qualità per farlo, ho il diritto di godere della vita come tutti.
Vorrei che imparasse dal padre assente come diventare un padre migliore per i suoi figli.
Vorrei che andasse in tasca a tutti quelli che lo considerano una partita persa in partenza.
Perché nel Ripetente rivedo me stessa, quella che sono stata, anche se la mia rabbia non faceva male agli altri perché i pugni più forti li ho riservati per me.
E i lividi li ho ancora addosso.

lunedì 13 gennaio 2014

Due curve in casa

Che gli Emme andassero d'accordo su qualcosa era pretendere troppo. Oddio, sono solidali nel far casino, nel disordine, nel non capire che a palla in casa non si gioca proprio e nell'amore per il basket ma sul resto sono in disaccordo su tutto.
Anche sulla squadra calcistica del cuore.
Emmemaxi tifa Toro.
Emmepiccola tifa Fiorentina.
Solidarietà per il minore, tifare Viola a Torino è roba da ultracoraggiosi, per non dire sfigati cronici.
Comunque da tempo promettevamo ai pargoli che li avremmo portati allo stadio a vedere una partita, nicchiavamo parecchio perché né io né mio marito siamo a nostro agio in quell'ambiente.
Oddio, io ho avuto dei trascorsi adolescenziali di Curva Fiesole accompagnata dallo zio della mia amica delle medie, ma quando i tifosi hanno cominciato a menarsi tra di loro a ogni piè sospinto ho perso buona parte della passione calcistica. L'altra parte se ne è andata quando i calciatori hanno cominciato a riscuotere ingaggi che risolverebbero i problemi economici di tutti gli ospedali dell'Africa equatoriale. Tifo Fiorentina anche io, dopo la partita guardo il risultato, se ha vinto esulto, se ha vinto contro la Juve o il Milan dileggio su Facebook gli amici della tifoseria avversaria, se ha perso tiro un cristone e archivio.
Ieri c'era Torino-Fiorentina all'Olimpico, quale migliore occasione per adempiere a quanto promessio?
La Giuliva Famiglia Sbullonata si è presentata ai tornelli d'ingresso fortunatamente sotto un bel sole, nonostante le funeste previsioni di Meteo3 che prometteva "sul Piemonte molte nubi".
Problema n° 1: far superare i tornelli a Emmemaxi. Problema risolto perché è dimagrito.
Problema n° 2: raggiungere i posti assegnatici nella curva primavera. Eravamo arrivati tra gli ultimi e abbiamo dovuto far alzare tutta la fila. Ovviamente mi sono beccata un colpo nello stinco che adesso è livido e sbucciato.
Problema n° 3: far capire a Emmepiccola che eravamo in casa del Torino, circondati da tifosi del Toro che vabbé che sono gemellati con quelli della Fiorentina e non si nuociono vicendevolmente, ma urlare ad ogni azione "Bastardo! Chiudilochiudilochiudilo! Fallo fuori!!!!!" potrebbe costargli qualche papagno dagli avversari in futuro, oltre che un DASPO a vita. Per fortuna riesce a essere tenero anche quando da il peggio di sé e l'ha scansata.
Problema n° 4: far capire a Emmegrande che nessuno gli avrebbe fatto fuori il fratello.
Emmemaxi si è immerso in una profonda analisi sociologica del tifoso medio, così profonda che a metà del secondo tempo russava, io ho proferito un paio di vituperi all'indirizzo di alcuni calciatori viola, l'unico che ho riconosciuto è stato Cuadrado per via dei capelli, colpevoli di giocare con le saponette nei calzini e la sciolina sulle suole, Emmegrande ha temuto un po' anche per la mia incolumità poi era troppo occupato a soffrire per i Granata.
Il tipo seduto di fronte a me, alla fine di una clamorosa topica dei calciatori del Toro, mi si è rivolto con aria assatanata urlando MACHICAZZOERAQUELPICIU?!?!? E che ne so io? Io sono rimasta ai tempi di Galli-Lelj-Tendi-Galbiati-Galdiolo-Amenta...(da dire tutta di fila senza riprender fiato così vincevi di sicuro) mentre Emmemaxi, svegliatosi per l'occasione, rideva sotto i baffi.
Alla fine è stato lo 0-0 di prassi in queste occasioni, applausi per tutti, chi non salta bianconero è, op-op, e i bambini che si son fatti giurare che il prossimo anno torneremo.
Ma magari il prossimo anno si son fidanzati e del calcio non gliene fregherà più niente.
Sperèm...

mercoledì 8 gennaio 2014

E un due tre, e cinque sei sette...

Giuro che ho sfoderato tutto il repertorio:
gli occhioni dolci,
il broncio,
i capricci,
la psicologia (abbiamo bisogno di qualcosa da fare come coppia!),
Il ricatto salutista (non facciamo nessuna attività fisica, ne va della nostra salute!).
Per anni non ho ottenuto altro che rifiuti, risatine di scherno e "scordatelo" borbottati in malo modo.
Ma mio marito mi ama.
MI AMAAAA!!!!
E alla fine, in un momento di debolezza del quale si pentirà finché avrà vita, ha ceduto.
Da ieri siamo ufficialmente iscritti al corso base di balli caraibici.
Cioè, La Sbullonata e Emmemaxi a ballando con le stelle, vi rendete conto?
Ho trascinato un mugugnante consorte con figlioli al seguito, grazie alla complicità di amici, in una scuola di ballo e ci siamo cimentati nel passo base, insieme a un'altra dozzina di sfigati con due piedi sinistri e la flessuosità di sbarre di acciaio temperato, avant-indré, ritmo, e un-due-tre, e cinq-sei-set.
Mio marito mi ha guidata nel primo esperimento di ballo di coppia.
Oddio, ci avevamo provato anche in occasione del nostro matrimonio a ballare, ma lo aveva fatto solo per le foto.
Credo.
Emmegrande ci guardava attraverso il vetro del salone con espressione perplessa e solidale nei confronti del babbo, Emmepiccola si è, ovviamente, lanciato nelle danze e arruffianato perbene il maestro.
Il marito ha rimpianto di non avere con sé l'arma di servizio per sparare al RaoulGardini de' Noartri che frequenta il corso con noi, un azzimato ultrasessantenne con ciuffo color Grecian 2000, jeans attillati e camicia aperta sul petto depilato che si trascina dietro un'infelice e modesta coetanea dall'aria di scusarsi con il mondo e che ha interrotto ogni tre secondi il maestro con delle domande così sceme che anche il settenne si è sentito in dovere di chiedersi se fosse centrato o che altro, abbiamo scambiato le coppie negli ultimi cinque minuti e son finita a ballare con un tanghero dall'alito censito come arma di distruzione di massa.
Ma mi sono divertita come una pazza!
Se Emmemaxi sopravvive al corso base ho qualche speranza di convincere anche lui che ballare è bello.