lunedì 8 agosto 2016

Di gap generazionale

Le mie prime quattordici estati sono state dedicate alla Versilia. La mia famiglia affittava una casa per tutto il mese di agosto al Lido di Camaiore e la partenza somigliava a un trasloco con tutte le regole.
Mio nonno aveva un amico che faceva il carbonaio, figura di notevole importanza nel Natio Borgo Selvaggio a cavallo tra la fine degli anni '60 e la metà dei '70, quando la maggior parte delle case si scaldava ancora con cucine economiche e stufe a carbone, al primo del mese i due soci partivano con il camion che durante l'inverno portava quintali di legname e di antracite caricato per l'occasione con biancheria, valige e scatole di vasellame e stoviglie. Le donne di casa mia son sempre state schizzinose, "non se ne giovavano" di mangiare con posate e piatti usati da chissà chi.
Noi li seguivamo con il pullman della Lazzi, che percorreva la Firenze-Mare fino a Lucca e poi si inerpicava su per i tornanti del Monte Quiesa valicando il tratto fino a Viareggio. Quando arrivavamo eravamo verdi per la nausea.
Erano gli anni in cui le ambizioni più elevate di noi bimbetti erano quelle di strappare cinque minuti alle fatidiche tre ore da trascorrere dopo ogni pasto, e per pasto si intendeva anche una caramella, prima di poter toccare l'acqua, e magari di poter trascorrere quei cinque minuti ancora a bagno nonostante le "dita ringrinzite", segno inequivocabile di congelamento fatale prossimo.
I castelli di sabbia non avevano ancora la pretesa di sembrare versioni in miniatura della Sagrada Familia ma erano essenzialmente torrioni a forma di tronco di cono ottenuti pressando la sabbia nei secchielli rossi o blu, ancora non decorati con il personaggio del cartoon più in voga, le piste per le biglie e le bocce completavano l'assortimento dei giochi da spiaggia.
Nascevano grandi amicizie e sgorgavano grandi lacrime al momento degli addii, a settembre due o tre cartoline viaggiavano da un posto all'altro della Toscana suggellando la promessa di ritrovarsi l'anno successivo.
E generalmente era così: ad agosto il paesello e buona parte della provincia di Firenze e della futura provincia di Prato si spostavano in massa tra Viareggio e il Lido di Camaiore, tutti abitudinari ogni anno si ritrovavano allo stesso stabilimento balneare, allo stesso ombrellone, alle 16.30 a prendere i bomboloni caldi al Cristallo o le pizzette appena sfornate al Manè, una sera alla settimana al cinema all'aperto di via del Fortino.
Nel 1980 mia madre dichiarò di essersi ufficialmente rotta le scatole di passare il mese di agosto a spignattare, pulire e riassettare ancorché a dieci minuti dalla spiaggia.
Il mese si ridusse a due settimane e ci buttammo a capofitto nella novità della riviera romagnola.
Quattordici anni da compiere a ottobre,
un posto completamente nuovo,
nessun compagno di classe, scuola, vicino di casa, amico dell'anno prima.
Poteva essere un disastro,
Ma capii qual'era la funzione degli adolescenti al mare:
arrivare sulla spiaggia, guardarsi intorno e decidere rispettivamente:
a) chi rimorchiare;
b) da chi farsi rimorchiare (con buona pace del gender, nel 1980 i ruoli maschili e femminili erano così definiti. A noi femminucce l'onere di decidere chi era il fortunato al quale avremmo concesso l'onore di credere di averci scelte).
Le grandi amicizie della costa tirrenica lasciarono il posto ai devastanti amori di Ferragosto, ai baci rubati dietro le cabine, ai ti-amerò-per-sermpre il cui sempre durava quanto la coda sulla a14 al ritorno.
E adesso, dopo avervi tediato con la palettata di ricordi e memorie triti e ritriti tipici di noi vecchietti nati a cavallo del boom economico, abbiate la compiacenza di aiutarmi a chiarire i miei dubbi.
Quegli anni sono stati bellissimi, vivevamo dai 335 ai 350 giorni l'anno nell'attesa che arrivassero le vacanze al mare. Le sognavamo, le gustavamo, le vivevamo intesamente dal primo giorno all'ultimo.
Le abbiamo narrate ai nostri figli compiacendoci delle conquiste fatte e commuovendoci sui lacrimevoli addii con quelli che credevamo amori eterni.
Ci hanno ascoltato dicendoci "che bello!".
Ci hanno preso per il culo, vero?
Perché altrimenti non si spiega perché Emmegrande e i suoi coetanei quando arrivano con il piede sulla sabbia invece di guardarsi intorno per trovare prede appetibili e costruirsi ricordi per il resto della loro vita la prima cosa che fanno è verificare se ci sia campo per il cellulare.
E mi reputo ancora privilegiata perché mio figlio non staziona sul bagnasciuga guardando il display a caccia di pokemon d'acqua.