lunedì 27 gennaio 2014

Vittoria

Di Vittoria dicevano che fosse stata bellissima, e qualche traccia di quello che era stata la portava ancora negli occhi, due carboni nerissimi, vivi e attenti, che non si soffermavano più che qualche istante su quello che passava loro davanti.
Adesso della bellezza passata non era rimasto altro in quel corpo magro ed esagitato, dai capelli grigi rasati quasi a zero.
Vittoria passava sempre di fretta, a volte rideva, a volte piangeva, spesso imprecava. Contro tutto, tutti, contro la vita, il tempo, le automobili che la sfioravano nel suo incedere sempre al bordo della strada.
A volte chiedeva una sigaretta, mai soldi, di cosa vivesse lo sapeva solo lei, forse di aria e di rabbia, dove si procurasse il cibo e quei vestiti che si vedeva che erano stati belli, ma ora ridotti a cenci fioriti e che le cadevano da tutte le parti era ignoto a tutti quanti.
Ma Vittoria era una costante, una certezza. Eri sicuro di trovarla tra Piazza del Municipio e il cimitero con qualunque tempo, con la pioggia battente, il vento sferzante o sotto quella neve noiosa e bagnata che cade da quelle parti, sempre troppo pesante per attecchire, che illude i bambini e poi li delude trasformandosi in pozzanghere melmose appena si incontra con l'asfalto. Lei sfidava tutti i climi, sempre di fretta, spesso arrabbiata, con i suoi leggeri vestitini a fiori come se fosse immune al freddo, al vento, alla pioggia e alla neve.
Ma con l'arrivo della bella stagione Vittoria cominciava a essere contenta, e rideva con un'espressione simile alla gioia, il volto alzato verso il cielo a bersi ogni raggio di sole.
E quando faceva veramente, veramente caldo Vittoria si spogliava, completamente nuda, e cominciava a saltellare nei prati come una ninfa che qualche punizione celeste aveva infilato nel corpo di una strega, poi si sdraiava come se fosse stata sulla spiaggia di Viareggio e stava ad ore a grogiolarsi, un'oscena lucertola appagata, con la pelle arruffata sulle gracili ossa come lenzuola stropicciate in un letto d'ospedale.
A noi Vittoria faceva tanto ridere. Quando la vedevamo sdraiata in un prato l'additavamo, sghignazzavamo, qualche ragazzo più sfacciato le gridava dietro oscenità solo per il gusto di vederla alzarsi, le borse vuote del seno ondeggianti come barchette in un mare in tempesta e cominciare a correre con il pugno alzato urlando ogni vituperio contro chi l'aveva importunata. A quel punto le risate diventavano irrefrenabili.
Un giorno qualcuno ci vide, sentì chiaramente la voce di quel ragazzino brufoloso che le urlava vecchia troia mentre lei si faceva il suo bagno di sole, ascoltò le nostre risate più vergognose delle sue vecchie nudità sdraiate sull'erba. Non ci rimproverò, non minacciò di chiamare la polizia, i vigili, i nostro genitori. Ci chiese solo se sapessimo cosa significava quel numero che Vittoria aveva tatuato sull'avambraccio.
Vittoria era stata bellissima, aveva avuto spasimanti e foto esposte nelle vetrine, bei vestiti e pellicce e gioielli. Vittoria era ebrea e aveva conosciuto il campo di concentramento. Non so quale, c'era chi diceva fosse in Austria, ma forse in Polonia.
Il suo essere bellissima l'aveva preservata dalla morte ma non l'aveva salvata, perché Vittoria era stata sistematicamente scopata da tutti coloro che ne avessero voglia, una puttana obbligata costretta a soddisfare le voglie dei suoi aguzzini, di coloro che la disprezzavano pubblicamente perché di razza inferiore ma che in privato violentavano la sua bellezza uccidendola ogni giorno un po', fino a quando la sua anima si era spenta.
Vittoria ha continuato ancora per qualche anno a vagare imprecando per il paese, a togliersi i suoi stracci fioriti per sdraiarsi nuda al sole, ma non ci faceva più ridere.

Trasmetto il ricordo di Vittoria a chi leggerà queste righe come adempiessi a un dovere morale. Quello di ricordare cosa è successo.
Quello di sputtanare coloro che sostengono sia stata solo propaganda.
Quello di combattere coloro che vorrebbero che i campi di concentramento esistessero ancora.
 

6 commenti:

  1. Grazie per aver condiviso questo ricordo e le tue emozioni. E grazie per avermene suscitato tante di emozioni.

    RispondiElimina
  2. Una storia cosi triste ma scritta cosi bene
    Mari

    RispondiElimina
  3. Alessandra, non nasconderti nel tuo blog.
    Perché non incolli questo post dal Direttore?
    Che è una versione più completa del tuo commento postato nei giorni scorsi.

    Paolino Pap.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pap, lo sai che non lo farò, non è nel mio stile. Ma grazie per avermelo chiesto.

      Elimina
  4. È un riconoscimento alle tue doti di narratrice.
    Un po' nascoste, qui.
    Ed un implorazione a manifestare maggiormente i tuoi talenti: che è pesante la mia corona d' highlander. E che fatica per creare fumo, cacofonie, fuochi d' artificio: che mica possiedo la tua fluidità e scioltezza nello far scorrere parole.
    Così devo mascherare con gli effetti speciali.
    Insomma, te lo volevo rifilare, il kilt - ed il kit - del primo posto.
    Vero anche, visto il particolare clima che aleggia in questo momento in fatto di argomenti e disquisizioni, che non sarebbe stato facile inserirti con quella strambata.
    Armonia complicata.

    Paolino Pap.

    RispondiElimina
  5. Ciao Ale, è da un po'che non passo dal tuo blog, ci torno stasera e trovo questa storia bellissima e tragica. Hai fatto bene a raccontarla.

    RispondiElimina

pareri & opinioni