Quando ho cominciato a lavorare, ormai quasi trenta anni orsono, i primi soldi che ho guadagnato li ho spesi in biglietti per i concerti.
Erano i fantastici '80, adesso mi diverto un mondo quando, parlando con colleghi o amici più giovani di me, vedo le facce che si sbigottiscono di ammirazione nel sentire il nome di Madonna - Who's that girl tour, le famose mutande lanciate sul pubblico - David Bowie - The glass spider tour - Simple Minds, Eurythmics...
Si riscriveva la storia del pop e del rock e io c'ero.
Ho avuto uno stop durato dieci anni esatti, dal 2001 con la chiusura con il botto degli U2 al Delle Alpi al mio ritorno personale sulle scene con Ligabue al Palaisozaki nel settembre del 2011. Da allora, con i bambini cresciuti e quindi capaci di stare entrambi una notte a dormire dal nonno senza distruggere lui e la casa, ho ripreso almeno in parte le buone abitudini.
Negramaro,
Caparezza che ha rappresentato il battesimo del fuoco per un entusiasta Emmegrande,
Dionne Warwick.
Sabato scorso è toccato ai Muse.
E poiché le amiche che erano con me avevano il posto in tribuna e io no mi sono avviata nel mezzo al prato, con la mia assurda salopette arancione da cantieristica autostradale, mi sono prima seduta e poi sdraiata e ho lasciato che il prato mi avvolgesse.
Perché durante i concerti il prato dello stadio olimpico, di qualunque stadio, è un mondo parallelo.
Essere da sola mi ha permesso di non perdermi in chiacchere ma di ascoltare il mondo degli altri, e di godermelo fino in fondo.
E il venditore di birra che passa con il suo carrello del supermercato pieno di Bavaria in bottiglia di plastica urlando "OOOOOOOOOOOOOH! HO LA BIRRA FREDDA E LA COCA BUONA!" ricorda incredibilmente lo stesso che passava all'Artemio Franchi di Firenze mentre io ed Elena, sdraiate nelle prime file con i panini nello zaino e la bottiglia d'acqua che doveva necessariamente stare in piedi perché all'entrata ci avevano obbligate ad aprirla e a lasciare il tappo in ostaggio, sudavamo sotto il sole di luglio aspettando il Duca Bianco che di lì a qualche ora sarebbe sceso dal ventre del mostruoso ragno di vetro che svettava sul palco.
I gruppi di amici sono già bastevolmente brilli da ballare sulla musica inesistente che risuona nelle loro capocce etiliche, le coppiette stanno appiccicate nonostante il caldo che si è ricordato che siamo alla fine di giugno ed è tornato alla carica.
Due ragazzi forse meno che ventenni palesano un po' di imbarazzo nel mostrarsi con il padre, ex bell'uomo con i jeans stirati e la camicia a righe bianche e azzurre accuratamente infilata nella cintura, un assurdo ciuffo fissato con tonnellate di gel scavalca la sommità del capo per coprire una piazza di tutto rispetto.
Accanto a me l'allegra repubblica dei cannaroli fa fuori uno spinello dietro l'altro, l'odore dolce e aromatico mi raggiunge e mi avvolge, un tipo forse un poì più vecchio di me dormicchia su un plaid, la donna che è con lui usa le sue gambe come schienale mentre legge assorta un libro.
Il primo gruppo spalla è noioso e ripetitivo, i fischi lo fanno notare ampiamente. Il front-man, tra l'ironico e il risentito si paragona a Mino Reitano che faceva da supporter ai Beatles, sinceramente mi sembra che Minone fosse più dignitoso.
Il secondo gruppo, tre appetitosi scozzesi semi-nudi, mi piace, hanno un bel sound e delle belle voci. La folla reagisce di conseguenza e il prato si scalda.
Recupero al bar una birra carissima ma fresca, la centellino girando intorno al parterre, non mi importa di perdere il posto nelle prime file, lo spettacolo è ovunque.
E al via dello spettacolo mi ricordo perché ero disposta a farmi ore di coda per un biglietto.
Per le luci, i cori, le mani alzate, le ragazzine accanto a me che si abbracciano piangendo ogni volta che il primo piano di Bellamy (o di Jim Kerr, o di Boy George, o di Simon Le Bon...) appare sul maxi schermo.
Per i bergamaschi che urlando DIOBBBONO! FIGA QUESTA!!!! ad ogni sacrosanta canzone-
Per le parole che ti tornano alle labbra anche quando eri convinta di non ricordarle.
Per le lucine accese a migliaia, sul prato e sugli spalti, proprio per quel pezzo che adori.
Anche se gli accendini erano infinitamente più belli che le migliaia di display illuminati degli I-cosi o degli smart-cosi.
Venerdì prossimo sarà il battesimo del fuoco di Emmepiccola, avevo promesso ai miei figli che se avessero avuto dei buoni voti li avrei portati al primo concerto di Fedez a Torino.
Hanno avuto degli ottimi voti, ma io mica lo immaginavo che Fedez sarebbe venuto a Torino il 5 luglio.
Mi tocca.
Certo che dai Muse a Fedez....
Ma da qualche parte dovranno pure cominciare.
Erano i fantastici '80, adesso mi diverto un mondo quando, parlando con colleghi o amici più giovani di me, vedo le facce che si sbigottiscono di ammirazione nel sentire il nome di Madonna - Who's that girl tour, le famose mutande lanciate sul pubblico - David Bowie - The glass spider tour - Simple Minds, Eurythmics...
Si riscriveva la storia del pop e del rock e io c'ero.
Ho avuto uno stop durato dieci anni esatti, dal 2001 con la chiusura con il botto degli U2 al Delle Alpi al mio ritorno personale sulle scene con Ligabue al Palaisozaki nel settembre del 2011. Da allora, con i bambini cresciuti e quindi capaci di stare entrambi una notte a dormire dal nonno senza distruggere lui e la casa, ho ripreso almeno in parte le buone abitudini.
Negramaro,
Caparezza che ha rappresentato il battesimo del fuoco per un entusiasta Emmegrande,
Dionne Warwick.
Sabato scorso è toccato ai Muse.
E poiché le amiche che erano con me avevano il posto in tribuna e io no mi sono avviata nel mezzo al prato, con la mia assurda salopette arancione da cantieristica autostradale, mi sono prima seduta e poi sdraiata e ho lasciato che il prato mi avvolgesse.
Perché durante i concerti il prato dello stadio olimpico, di qualunque stadio, è un mondo parallelo.
Essere da sola mi ha permesso di non perdermi in chiacchere ma di ascoltare il mondo degli altri, e di godermelo fino in fondo.
E il venditore di birra che passa con il suo carrello del supermercato pieno di Bavaria in bottiglia di plastica urlando "OOOOOOOOOOOOOH! HO LA BIRRA FREDDA E LA COCA BUONA!" ricorda incredibilmente lo stesso che passava all'Artemio Franchi di Firenze mentre io ed Elena, sdraiate nelle prime file con i panini nello zaino e la bottiglia d'acqua che doveva necessariamente stare in piedi perché all'entrata ci avevano obbligate ad aprirla e a lasciare il tappo in ostaggio, sudavamo sotto il sole di luglio aspettando il Duca Bianco che di lì a qualche ora sarebbe sceso dal ventre del mostruoso ragno di vetro che svettava sul palco.
I gruppi di amici sono già bastevolmente brilli da ballare sulla musica inesistente che risuona nelle loro capocce etiliche, le coppiette stanno appiccicate nonostante il caldo che si è ricordato che siamo alla fine di giugno ed è tornato alla carica.
Due ragazzi forse meno che ventenni palesano un po' di imbarazzo nel mostrarsi con il padre, ex bell'uomo con i jeans stirati e la camicia a righe bianche e azzurre accuratamente infilata nella cintura, un assurdo ciuffo fissato con tonnellate di gel scavalca la sommità del capo per coprire una piazza di tutto rispetto.
Accanto a me l'allegra repubblica dei cannaroli fa fuori uno spinello dietro l'altro, l'odore dolce e aromatico mi raggiunge e mi avvolge, un tipo forse un poì più vecchio di me dormicchia su un plaid, la donna che è con lui usa le sue gambe come schienale mentre legge assorta un libro.
Il primo gruppo spalla è noioso e ripetitivo, i fischi lo fanno notare ampiamente. Il front-man, tra l'ironico e il risentito si paragona a Mino Reitano che faceva da supporter ai Beatles, sinceramente mi sembra che Minone fosse più dignitoso.
Il secondo gruppo, tre appetitosi scozzesi semi-nudi, mi piace, hanno un bel sound e delle belle voci. La folla reagisce di conseguenza e il prato si scalda.
Recupero al bar una birra carissima ma fresca, la centellino girando intorno al parterre, non mi importa di perdere il posto nelle prime file, lo spettacolo è ovunque.
E al via dello spettacolo mi ricordo perché ero disposta a farmi ore di coda per un biglietto.
Per le luci, i cori, le mani alzate, le ragazzine accanto a me che si abbracciano piangendo ogni volta che il primo piano di Bellamy (o di Jim Kerr, o di Boy George, o di Simon Le Bon...) appare sul maxi schermo.
Per i bergamaschi che urlando DIOBBBONO! FIGA QUESTA!!!! ad ogni sacrosanta canzone-
Per le parole che ti tornano alle labbra anche quando eri convinta di non ricordarle.
Per le lucine accese a migliaia, sul prato e sugli spalti, proprio per quel pezzo che adori.
Anche se gli accendini erano infinitamente più belli che le migliaia di display illuminati degli I-cosi o degli smart-cosi.
Venerdì prossimo sarà il battesimo del fuoco di Emmepiccola, avevo promesso ai miei figli che se avessero avuto dei buoni voti li avrei portati al primo concerto di Fedez a Torino.
Hanno avuto degli ottimi voti, ma io mica lo immaginavo che Fedez sarebbe venuto a Torino il 5 luglio.
Mi tocca.
Certo che dai Muse a Fedez....
Ma da qualche parte dovranno pure cominciare.
volevo vedere i Muse, poi ho deciso di no per una contingenza di sfighe.
RispondiEliminama Fedez... dio mio, Ale. hai la mia comprensione!
Non so nemmeno chi sia Fedez perché. mia figlia ha 9 anni e. non canta altro che le canzoni abominevoli di Violetta... ma oh che meraviglia quando dal palco uscivano Bowie al Trofré des Alpes di Nizza e dopo anni a Milano il primo Vasco faceva tremare gli anelli del nuovo stadio e i Litfiba erano appena conoscoui anche qui.... mi sembrano 1000 anni fa...
RispondiEliminaHai ragione da qualcosa si deve ben iniziare...
Elli
...i primi soldi guadagnati [ormai 10 anni fa...] li ho spesi in vestiti...
RispondiEliminai concerti li ho "imparati" poi, ma ho ancora un gusto musicale mooooolto teen!
Ale, io non ci riesco più a stare nel prato. 10/6 a Torino per il "MITO" in fila dal mattino per prendere posto in barriera. l'ho fatto solo per Vasco non lo farei per nessun altro, anche perchè per me il prato o sei davanti o tanto vale stare in tribuna. Roberta
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